|
Farmaci oncologici innovativi
Stefania Bortolotti, N. 5 maggio 2014
Un “bene durevole” per pazienti, Servizio Sanitario e sistema economico.
In Italia, secondo i dati OsMed 2013 (Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali), tra i primi dieci principi attivi a maggior spesa farmaceutica ospedaliera, ben sei sono farmaci oncologici. Numerosi studi dimostrano che la crescente disponibilità di nuovi farmaci contro il tumore, sempre più potenti e selettivi, sta contribuendo all’incremento del tasso di sopravvivenza dei pazienti oncologici e all’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione generale.
Grazie ai progressi fatti nel campo delle terapie, oltre che della prevenzione e della diagnosi precoce, sempre più pazienti possono guarire o essere curati per molti anni, rendendo il cancro, di fatto, una malattia cronica. In tutti i Paesi a economia e “welfare” avanzati, i farmaci oncologici si trovano dunque al crocevia della crescita della salute e dell’evoluzione dei sistemi sanitari e l’innovazione farmaceutica pone nuove sfide per l’attuale e futura sostenibilità della spesa pubblica.
Su questi temi si sono confrontati, nel Febbraio scorso a Roma, esperti europei provenienti da Francia, Spagna, Germania e Regno Unito, insieme a farmacologi, farmaco-economisti e clinici nel Convegno “Modelli di valutazione farmaco-economica e sostenibilità in ambito oncologico all’interno dell’Unione Europea”.
L’incontro è stato promosso da HPS (Health Publishing and Services) e Fondazione Charta, con il patrocinio del Senato della Repubblica e il contributo incondizionato di Astellas, Azienda farmaceutica giapponese tra le 20 più importanti al mondo, con una “pipeline” specificamente dedicata alla ricerca di nuovi meccanismi d’azione nel trattamento delle neoplasie.
«Obiettivo dell’incontro è stato quello di promuovere il confronto con decisori, esperti e specialisti in Oncologia nel contesto dei singoli Paesi europei, per favorire l’accesso sicuro ai trattamenti oncologici innovativi», afferma Christopher Thompson, Direttore della Business Unit Oncology di Astellas Europe. «Ogni Paese ha la sua metodologia di valutazione, ma occorre costruire una visione il più possibile globale del contesto europeo, per mettere a frutto le esperienze e i modelli in grado di accelerare l’introduzione delle terapie innovative e d’eccellenza».
Il dato di partenza è che l’accesso ai farmaci innovativi è uno degli strumenti chiave per aumentare tempo e qualità del vivere dei pazienti oncologici: come rileva, infatti, l’ultimo Rapporto CeRM sui farmaci anticancro in Italia, la semplice riduzione di un anno dell’età media di presenza sul mercato dei farmaci, attraverso un tempestivo accesso alle nuove terapie, comporta un aumento statisticamente significativo (pari all’ 1,50% ) della probabilità di sopravvivenza a 5 anni per i tumori maschili.
Secondo l’ISTAT, tra il 1992 e il 2011 la riduzione della mortalità per tumori ha contribuito all’allungamento dell’aspettativa di vita nella misura di 1,2 anni per la popolazione maschile e 0,6 per quella femminile.
Ma come riuscire a conciliare accesso alle terapie innovative e sostenibilità economica? Il primo passo è guardare ai vantaggi dimostrati dell’innovazione terapeutica.
«Quando un farmaco funziona, va finanziato: ovviamente non basta che sia nuovo, dev’essere dimostrato, su basi scientifiche, che contribuisce alla salute delle persone», afferma Lorenzo Mantovani, Docente di Farmaco-Economia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Inoltre, la ricerca farmaceutica deve essere considerata il vero volano della sostenibilità: «Ogni euro investito in ricerca rende ben più di un euro in termini di PIL» osserva Mantovani. «Tra l’altro, il settore della produzione di tecnologie della salute costituisce un fattore di stabilizzazione, in quanto è anti-ciclico: gli investimenti in salute sono gli ultimi che si abbandonano, subito prima di quelli in cibo, perciò risentono meno delle fasi sfavorevoli dei cicli economici».
Occorre dunque rivalutare la spesa produttiva e premiare l’innovazione reale, quella che fa la differenza nella salute delle persone: uno strumento efficace per premiare l’innovazione è il modello di determinazione dei prezzi che si fonda sul valore percepito (valuebased pricing) e stimato nell’uso dei farmaci, più che sul mero costo del prodotto. Un valore da proiettare nel tempo perché il ciclo di vita dei farmaci oncologici innovativi ha un’estensione di gran lunga superiore rispetto al ciclo medio di mercato e il vero valore del farmaco emerge dal suo utilizzo nel lungo periodo e non solo dai risultati dei trials clinici valutati al momento dell’immissione in commercio.
Come sottolinea Christopher Thompson: «È necessario guardare al costo totale del trattamento di una malattia e non solo a quello legato all’acquisizione del farmaco, per poi compararlo all’incremento di benessere del paziente e, con lui, del suo contesto sociale. Il punto non è solo l’equazione costi-efficacia, ma anche il valore nel tempo: bisogna infatti considerare i benefici di un farmaco in tutto il suo arco di vita, poiché il suo impatto clinico può durare per generazioni».
Altro strumento in grado di accelerare l’innovazione è la ripartizione del rischio – risk sharing – tra i sistemi sanitari e le imprese farmaceutiche rispetto a un’eventuale non sufficiente efficacia delle terapie innovative. Secondo questo meccanismo, il pagamento per la fornitura dei farmaci è condizionato ai risultati sottoscritti tra Servizio Sanitario e aziende fornitrici: il finanziamento dei farmaci innovativi scatta solo quando il margine d’innovatività e costoefficacia delle nuove molecole dovesse risultare superiore a quella dei farmaci cosiddetti “maturi”. L’Italia è stata a livello europeo all’avanguardia nell’introduzione di questi meccanismi di controllo della spesa. Quali sono i risultati? La letteratura di Farmacoeconomia, ma anche le esperienze di Paesi che già si sono mossi lungo questa strada, mostrano che queste clausole contrattuali possono svolgere un ruolo di vera e propria garanzia sulla qualità del farmaco, con il vantaggio d’incentivare la concorrenza dinamica tra Aziende produttrici e ridurre sensibilmente le proiezioni di spesa, perché l’allocazione delle risorse si concentra solo su farmaci a valore terapeutico elevato.
NabTM paclitaxel, il farmaco innovativo
NabTM paclitaxel (paclitaxel albumina) è un farmaco innovativo che coniuga un principio attivo di efficacia antitumorale comprovata, paclitaxel, con una tecnologia d’avanguardia basata sulle nanoparticelle, offrendo alle pazienti con carcinoma della mammella metastatico, che hanno fallito il trattamento di prima linea e per le quali la terapia standard contenente antracicline non è indicata, un trattamento più efficace e allo stesso tempo più sicuro. «La nanotecnologia ha trasformato un farmaco scarsamente solubile come paclitaxel in un farmaco iniettabile sotto forma di nanoparticelle» dice Efisio Defraia, Responsabile Divisione Oncologia Medica del Centro di Riferimento Oncologico Regionale Ospedale Businco di Cagliari; «NabTM paclitaxel è un farmaco innovativo basato sulla nanotecnologia, che usa l’albumina come veicolo naturale per arrivare nel cuore della cellula tumorale senza l’impiego di solventi sintetici: sono queste caratteristiche a rendere particolarmente favorevole il comportamento del farmaco, che migliora di conseguenza la qualità di vita della pazienti». Spiega Defraia: «Il complesso nabTM paclitaxel lega recettori di superficie per l’albumina sulla membrana di cellule endoteliali e attiva la caveolina-1, una proteina che forma una tasca nella parete endoteliale chiamata appunto “caveola” che permette al complesso farmaco-albumina di migrare attraverso il citoplasma cellulare, raggiungere la parete opposta della cellula endoteliale e di depositarsi nel tumore. Questo meccanismo consente che elevate concentrazioni di farmaco vengano veicolate nell’interstizio tumorale senza utilizzare i solventi sintetici tossici».
NabTM paclitaxel, le caratteristiche
NabTM paclitaxel, una significativa evoluzione nella sua categoria farmacologica:
- l’albumina facilita il trasporto di paclitaxel ad essa legato attraverso la cellula endoteliale (processo noto come transcitosi);
- sulla membrana della cellula endoteliale si lega al suo recettore (gp60), attivando la formazione di cavità nella membrana cellulare (caveole) che racchiudono il complesso formato dal recettore stesso e dall’albumina legata a paclitaxel;
- la successiva apertura delle caveole fa sì che paclitaxel-albumina sia veicolato in modo mirato all’interstizio tumorale;
- nell’interstizio l’albumina si accumula legandosi specificamente a una proteina che abbonda nel microambiente tumorale, denominata SPARC (Secreted Protein Acidic Rich in Cysteine), consentendo a maggiori quantità di principio attivo di penetrare nel tumore.
Tecnologie sempre più potenti
L’avvento di terapie oncologiche sempre più potenti e mirate sta aumentando la sopravvivenza dei pazienti e l’aspettativa di vita della popolazione generale. La sostenibilità economica delle terapie oncologiche innovative al centro di un incontro nel Febbraio scorso a Roma tra i maggiori esperti europei: risk sharing, valutazione dei risultati nel lungo periodo e incremento di benessere del paziente i criteri che possono accelerare l’innovazione e assicurare l’accesso dei pazienti alle terapie di eccellenza. L’impatto clinico di un farmaco oncologico selettivo può durare per generazioni.
Intervista a: Lorenzo Mantovani, Docente di Farmaco-Economia, Università degli Studi di Napoli Federico II
Terapie oncologiche al top della spesa farmaceutica ospedaliera: sostenere l’innovazione in grado di fare la differenza nella salute.
Dottore, qual è attualmente l’impatto delle terapie oncologiche in Italia, in particolare di quelle innovative, sulla spesa sanitaria? Possiamo fare una comparazione con l’ambito europeo?
«Lo scenario europeo è molto eterogeneo, soprattutto in termini di spesa farmaceutica oncologica ( www.comparatorreports. se ). Quanto all’Italia, tra i 10 principi attivi a maggior spesa farmaceutica ospedaliera, ben sei sono terapie oncologiche».
Alla luce dell’attuale scenario economico i Sistemi Sanitari europei sono in grado di sostenere la sfida dell’innovazione farmacologica?
«Io credo di sì. Dobbiamo certamente imparare dal passato e non possiamo permetterci, al momento, di finanziare speranze, come talora abbiamo fatto in passato sulla scia dell’entusiasmo di boom economici artificiali. Ora dobbiamo concentrarci sul valore dei farmaci, premiando quelli che danno un significativo contributo al miglioramento della salute dei pazienti. Sotto il profilo industriale, è stato calcolato che ogni euro investito in ricerca rende ben più di un euro in termini di PIL. Il problema è che il ritorno è nel lungo periodo, mentre spesso i problemi riguardano i budget del prossimo trimestre. Tra l’altro, il settore della produzione di tecnologie della salute costituisce un fattore di stabilizzazione, in quanto è anti-ciclico: gli investimenti in salute sono gli ultimi che si abbandonano, subito prima di quelli in cibo, perciò risentono meno delle fasi sfavorevoli dei cicli economici, anche perché sono investimenti per propria stessa natura, appunto, di lungo periodo».
In base a quali criteri oggi viene stabilito l’accesso a un farmaco innovativo? Quali aspetti vengono considerati?
«Gli aspetti sono sempre gli stessi, seppur declinati con sfumature differenti nei diversi sistemi: qualità, sicurezza, efficacia sono alla base del giudizio di qualsiasi farmaco. Il problema è che per alcuni aspetti, sicurezza ed efficacia soprattutto, non abbiamo tutte le informazioni che vorremmo avere nel momento in cui vengono negoziati il prezzo ed il rimborso. Per motivi razionali, gli studi clinici che portano all’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco sono condotti su pazienti estremamente selezionati. Sui quali sappiamo tutto, ma che spesso non sono rappresentativi di coloro ai quali il farmaco sarà poi prescritto. Questa distanza tra il mondo delle sperimentazioni cliniche pre-registrative ed il cosiddetto mondo reale deve essere colmata, mediante la conduzione di studi post-registrativi. Resta dunque molto complesso decidere il prezzo e la rimborsabilità di un farmaco, quando si è ancora ai primi passi del suo ciclo vitale, anche in termini di sviluppo clinico. È un processo di audit e feed-back. Continuo e ripetuto».
Il concetto chiave per assicurare efficacia terapeutica e sostenibilità economica sembra essere oggi “appropriatezza”: che cosa s’intende esattamente? Come viene misurata?
«Appropriatezza significa il farmaco giusto, al momento giusto, dal team di professionisti giusto, nel luogo giusto e anche al prezzo o al costo giusto. In pratica esiste un’appropriatezza del “se” ed un appropriatezza del “come” :
- “se” un soggetto ha l’indicazione ad un trattamento, quel trattamento riceve;
- “se” un soggetto non ha l’indicazione ad un trattamento, quel trattamento non riceve;
Consideriamo che un’indicazione significa una diagnosi associata a una prognosi differenziale. Vale a dire: i soggetti che hanno una certa diagnosi avranno un beneficio superiore ai rischi nel ricevere quella terapia.
L’appropriatezza del “come” significa che, se un trattamento deve essere somministrato in un certo modo ( “come” ), in quel modo viene somministrato».
L’attuale modello di rimborso favorisce l’accesso all’innovazione terapeutica a beneficio dei pazienti? Tiene conto dei risultati medici ottenuti? L’esperienza di altri Paesi europei può fornirci spunti utili?
«Sicuramente: stiamo navigando tutti intorno agli stessi concetti di sicurezza, efficacia e sostenibilità. La declinazione di questi concetti è differente da luogo a luogo, e tutti possiamo apprendere dagli altri. È curioso: pur con tutte le differenze tra i vari Sistemi Sanitari, i farmaci che hanno veramente fatto la differenza per la salute dei pazienti, sono generalmente rimborsati e utilizzati in modo simile nei diversi sistemi. Curioso... o forse no?»
Dottore, come considera l’ipotesi di costituzione di un fondo dedicato per i farmaci innovativi?
«Temo che il concetto di innovativo, così come se ne parla da almeno due decenni, sia fuorviante. Penso che ciò che vogliamo sia che un farmaco funzioni, e funzioni laddove le alternative non sono soddisfacenti. Se questo significa innovativo, bene. Non credo che un fondo per i farmaci innovativi sia una idea buona o cattiva in sé. È una buona idea se semplifica l’accesso alle nuove terapie effettivamente efficaci. Per semplificare, i farmaci funzionano o non funzionano. Per farmaci innovativi intendiamo farmaci nuovi che funzionano in pazienti in cui quelli esistenti non funzionano o funzionano meno. Ma il concetto decisivo è che funzionino. Ci sono farmaci nuovi che non funzionano e farmaci vecchi di 50 anni, che ora scopriamo funzionare per malattie in cui prima non li avevamo studiati. Sono innovativi? Credo che sia sufficiente che funzionino... anche se spesso capita che per capire se, come e quando funzionano ci vogliono anni di
ulteriori ricerche. E se funzionano, vanno finanziati, che siano o meno “innovativi”, che ci sia un fondo ad hoc, o meno. È questo che ci chiede la società, intesa sia come mondo sanitario, sia come mondo industriale».
Intervista a: Christopher Thomson, Direttore Business Unit Oncology, Astellas Europe
L’impatto economico delle terapie oncologiche: il valore nel tempo dei farmaci innovativi
Dottore, nel 2006 Astellas ha deciso d’impegnarsi nella lotta contro il cancro e nel 2013 è stata nominata Casa Farmaceutica dell’Anno da SCRIPT: qual è la sua politica rispetto alle terapie innovative?
«Già dal 2006 abbiamo deciso di impegnare molte delle nostre energie nel settore delle terapie oncologiche, con l’obiettivo di raggiungere una posizione leader in questa area terapeutica. Una decisione importante per l’Azienda, che ha reso necessario creare ramificazioni interne, al fine di coprire tutte le fasi operative e fornire il sostegno necessario per seguire tutto il percorso del farmaco, dalla scoperta alla commercializzazione. Sono stati inoltre creati ampi settori “ad hoc” per lo studio delle tecnologie relative agli anticorpi e le piccole molecole, realizzando vere e proprie piattaforme per la scoperta di nuovi farmaci. Abbiamo dunque molto chiare le strategie che ci consentiranno di fornire ai pazienti non solo trattamenti competitivi rispetto a quelli già esistenti, ma anche e soprattutto molecole mai studiate prima, con meccanismi d’azione totalmente inediti, mai sperimentati prima e che quindi contemplano un livello di rischio imprenditoriale elevato. L’attesa delle persone colpite da cancro merita ogni sforzo da parte nostra».
Astellas è tra le prime 20 aziende farmaceutiche al mondo e si avvale di strette relazioni con gli oncologi europei: può indicarci un modello europeo di gestione economica delle terapie oncologiche che reputa sia il più soddisfacente?
«Abbiamo deciso di stringere relazioni costruttive e di confrontarci con gli specialisti in oncologia nel contesto dei singoli Paesi del mercato europeo. La maggiore difficoltà è la complessità dei quadri di riferimento nazionali, che impedisce di individuare un modello prevalente o di maggior successo rispetto agli altri: pensiamo ad esempio al Sistema Sanitario italiano, con la sua marcata e rigida componente pubblica, che ovviamente influisce in misura notevole sui modelli di gestione economica delle terapie innovative. Inoltre, il management economico delle terapie oncologiche s’iscrive in un settore, quello dei sistemi sanitari, in continua evoluzione, come dimostra la recente ristrutturazione del sistema britannico in direzione di un maggior spazio alla fornitura di servizi sanitari ai privati. Ciò che noi cerchiamo di fare è costruire una visione il più possibile globale del contesto europeo e lavorare su scala locale sviluppando flessibilità rispetto agli specifici modelli di gestione economica, che ci consentano l’introduzione delle terapie innovative e d’eccellenza».
I costi farmaceutici aumentano e i budget diminuiscono, per cui i gestori della sanità pubblica sono costretti a fare molto con poco: qual è il suo punto di vista?
«Ritengo che sia necessario guardare al costo totale del trattamento più che allo specifico costo dell’acquisizione del farmaco, comparandolo all’incremento di benessere del paziente e, con lui, del suo contesto sociale. Il punto non è solo l’equazione costi-efficacia, ma anche il valore nel tempo. Bisogna considerare i benefici di un farmaco in tutto il suo arco di vita, poiché il suo impatto clinico può durare per generazioni. Del resto, se riteniamo di aver bisogno di terapie innovative, investimenti di una certa rilevanza sono indispensabili».
Dottore, la qualità del vivere e il tempo di vita sono aspetti fondamentali per i pazienti oncologici: che peso hanno queste voci nella gestione economica dei farmaci oncologici?
«Hanno la loro rilevanza, a partire dai trials oncologici, nei quali i farmaci sono sperimentati anche in base all’impatto sulla qualità di vita del paziente e alla possibilità che offrono di incrementare il suo tempo di vita. Questi parametri sono considerati nella loro dovuta importanza dalla maggioranza dei Paesi ma con modalità differenti: in Gran Bretagna o Svezia, ad esempio, i due indicatori sono considerati insieme e combinati armoniosamente, ma ogni Paese ha la sua metodologia di valutazione. Astellas è particolarmente sensibile alla qualità della vita dei pazienti oncologici e i nostri farmaci sono attentamente valutati sotto questo aspetto. Ci stiamo dunque impegnando affinché i pazienti possano avere accesso sicuro ai trattamenti oncologici innovativi che realizziamo: ci stiamo riuscendo e speriamo di poter fare ancora di più in futuro».
Torna ai risultati della ricerca
|