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Legge 38 e progetto Teseo

Cristina Mazzantini, N. 10 ottobre 2013

In Italia 13 milioni di persone soffrono di dolore cronico, ma l’impatto della malattia è sottovalutato. Il 41% infatti dichiara di non essere trattato in maniera adeguata. Nonostante l’approvazione nel 2010 della Legge 38 che ci pone all’avanguardia in Europa, la risposta assistenziale in questo ambito è ancora incompleta. Per dare concreta attuazione alle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) previste dalla Legge 38/2010 e migliorare la qualità di vita dei pazienti con dolore cronico è nato TESEO, un progetto innovativo destinato agli MMG promosso da SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) con il grant educazionale di Angelini.
A Firenze in occasione della V edizione di IMPACT proactive, gli Stati Generali Generali della lotta al dolore, che ha visto riuniti esperti e istituzioni sono stati presentati i primi risultati di TESEO un nuovo modello formativo, centrato sulla figura del Medico di Medicina Generale “con particolare interesse in cure palliative e terapia del dolore”.
A un anno di distanza dal primo intervento formativo su un gruppo nazionale di 21 MMG “con speciale interesse in cure palliative”, incaricati della formazione di 335 colleghi sul territorio e di un’attività continuativa di valutazione dell’impatto formativo (ovvero Audit), TESEO si conclude con brillanti risultati e quanto è stato riferito durante un’affollata conferenza stampa.
«Il medico di famiglia, prima figura di riferimento per il paziente con dolore, gioca un ruolo fondamentale nel modello di continuità assistenziale auspicato dalla Legge 38» ha dichiarato ai giornalisti il professor Guido Fanelli presidente Commissione nazionale cure palliative e terapie del dolore, che ha proseguito poi: «La normativa ha un approccio così innovativo da richiedere un cambiamento culturale che solo un’adeguata formazione può favorire».
Il professor Fanelli ha concluso il suo intervento sottolineando come «TESEO, pertanto, rappresenta un prezioso contributo per far sì che la Legge 38 diventi sempre più una realtà concreta nella pratica clinica, garantendo ai cittadini cure efficaci ed appropriate. Progetti formativi come questo permettono un sinergico lavoro di squadra tra Governo, Regioni, strutture sanitarie e medici per porre al centro il diritto dei pazienti a non soffrire».
Un primo importante traguardo raggiunto dal progetto TESEO è dunque l’incremento di visite cliniche specifiche per il dolore, che prima del progetto non rientravano nella pratica clinica del Medico di Medicina Generale e che hanno portato a diagnosticare e a tipizzare il dolore a 3820 pazienti, grazie all’impegno e al coinvolgimento dei Medici di
Famiglia formati (4 su 5 hanno aderito e completato il ciclo di Audit), somministrando una terapia appropriata. Nella metà dei pazienti visitati è stato diagnosticato un dolore di tipo infiammatorio, in un terzo un dolore di tipo meccanico strutturale e in 1 paziente su 5 è stato identificato un dolore neuropatico.
Sul totale dei pazienti tipizzati, 2.725 sono stati inseriti dai MMG nel registro delle “early palliative care” con l’obiettivo di identificare precocemente i malati con bisogno di approccio palliativo come raccomandato dall’OMS. Di questi, solo il 28% è malato oncologico, mentre gli altri pazienti sono affetti da altre patologie, in primis di natura cardiovascolare ( 16% ): un dato che fa riflettere, se si pensa che attualmente in Italia le cure palliative sono erogate quasi esclusivamente ai malati oncologici.
«Essere seguiti da un medico specificatamente formato sul dolore», è intervenuto il dottor Pierangelo Lora Aprile, Segretario scientifico e Responsabile Nazionale Area dolore e cure palliative SIMG, Responsabile scientifico Progetto TESEO, «permette al paziente di essere sottoposto a un accurato esame clinico dedicato e di avere una proposta di percorso terapeutico finalizzata al raggiungimento di obiettivi con lui condivisi. Questo percorso formativo ha dato la possibilità a 350 MMG di riconoscere il tipo di dolore, misurarlo, favorire un aumento dell’appropriatezza diagnostico/ terapeutica e identificare, tra i loro malati, coloro che si stanno avvicinando alla fine della vita, dedicando loro uno spazio specifico per valutarne i bisogni».
TESEO è anche la concreta dimostrazione della forza e dell’efficacia della partnership tra pubblico e privato, caratterizzata dall’unione di competenze e di risorse per il raggiungimento di obiettivi comuni.
«In un periodo storico in cui le risorse a disposizione del SSN si riducono e contemporaneamente aumenta la domanda di salute da parte dei cittadini», ha puntualizzato Fabio De Luca, General Manager della Divisione Pharma Angelini «crediamo siano necessari nuovi modelli di partecipazione alla spesa sanitaria che implicano il coinvolgimento dell’industria privata. Sulla base delle profonde trasformazioni in atto», ha proseguito De Luca «il mondo della salute è sempre più orientato ai bisogni dei pazienti e della classe medica, piuttosto che alle caratteristiche di prodotto. E la nostra Azienda, che da tempo ha compreso questo nuovo scenario intende continuare a giocare un ruolo attivo come partner del servizio pubblico ponendo al centro il paziente e lavorando a fianco della classe medica».
La centralità dei bisogni del paziente, elemento fondativo di TESEO, è stata ripresa da ARIANNA, studio osservazionale promosso da Age.Na.S. con l’obiettivo di migliorare l’accesso alle Cure Palliative Domiciliari per i malati con patologie croniche in fase evolutiva attraverso la sperimentazione di un modello organizzativo integrato di Cure Palliative.
«Il passaggio da TESEO ad ARIANNA», ha spiegato il dottor Gianlorenzo Scaccabarozzi, vice presidente Commissione nazionale cure palliative e terapie del dolore e direttore scientifico “Progetto ARIANNA” «ha l’obiettivo di valutare i percorsi integrati di cure palliative domiciliari, di base e specialistici, per individuare precocemente i malati che si avviano alla fine della vita, dando una risposta ai loro bisogni e a quelli dei familiari. La ricerca Age.Na.S vuole valutare la bontà delle scelte introdotte dall’Intesa Stato Regione del 25/7/2012 che, in attuazione della Legge 38, ha definito i requisiti minimi e le modalità organizzative necessarie per l’accreditamento delle strutture di assistenza delle reti di cure palliative. Tali requisiti devono condurre a una nuova organizzazione che risponda alla complessità dei bisogni e rispetti le preferenze dei malati e delle loro famiglie».

Qual è la situazione italiana del dolore cronico?
Un’indagine commissionata dal Centro Studi Mundipharma, condotta nel periodo Maggio-Giugno 2012, dall’Istituto di ricerca Demoskopea su 200 oncologi e 200 pazienti oncologici ( 60% donne, età media 44 anni) fotografa lo scenario attuale del trattamento del dolore da cancro in Italia. Ne emerge una situazione in parte controversa e non sempre idilliaca, con alcune significative discrepanze tra i 2 campioni intervistati, in merito alla misurazione della sofferenza e alle cure prescritte. Da un lato, il desiderio dei pazienti di ricevere cure più efficaci e una maggiore attenzione da parte di medici e Istituzioni; dall’altro, la necessità espressa dagli oncologi di terapie con minori effetti collaterali e di farmaci oppioidi a dosaggi più elevati, per rispondere in maniera più adeguata alle esigenze antalgiche dei propri assistiti. E ancora: per 6 pazienti su 10 il dolore, specie moderato-severo, incide sulla qualità della vita, limitandone le attività, mentre un terzo degli intervistati lamenta disturbi derivanti dalla terapia in atto. Secondo 6 specialisti su 10, inoltre, oggi si ricorre ancora troppo poco ai medicinali oppiacei, rispetto a quanto accade con i FANS. Questo, in sintesi, il quadro che emerge dall’indagine svolta a livello nazionale. Scopo della survey: verificare la prevalenza e le modalità di gestione del dolore da cancro, ma anche le problematiche e i bisogni evidenziati dagli specialisti e dai pazienti. Il dolore cronico costituisce una presenza importante nella vita di coloro che soffrono di una patologia neoplastica: secondo quanto affermano gli specialisti, oltre la metà dei pazienti ( 54% ) convive con la sofferenza fisica, nel 68% dei casi di intensità moderata-severa. Cancro al colon-retto, al seno e al polmone le tipologie di tumore più diffuse. Tra gli oncologi, 8 su 10 dichiarano di misurare sempre la sintomatologia dolorosa, utilizzando come primo strumento la scala numerica da 0 a 10. Il dato è in parziale contrasto con quanto emerso dalle interviste ai pazienti, un terzo dei quali lamenta il fatto che il proprio medico generalmente non misuri l’intensità del dolore. Inoltre, quasi 1 malato su 3 con dolore severo rivela di non ricevere alcun trattamento antalgico.

Qual è la situazione dei farmaci?
Per il controllo del dolore cronico moderato, gli oppioidi vengono impiegati in monoterapia dal 26% degli oncologi, mentre il 54% li somministra in associazione a farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Il quadro prescrittivo cambia, quando il clinico deve trattare un dolore severo: in questo caso, in accordo con le Linee Guida internazionali, nell’ 83% dei casi la terapia di prima linea è costituita quasi esclusivamente da oppioidi forti, mentre è marginale ( 11% ) la loro associazione con FANS. Le risposte dei pazienti rileverebbero invece un elevato ricorso agli antinfiammatori ( 45%, da soli o in associazione a oppiacei), prescritti soprattutto dal medico di famiglia, contro il 34% di oppioidi (da soli o in associazione a FANS), il cui impiego è diffuso in particolare tra coloro che affrontano il problema con lo specialista. Nel trattamento del dolore cronico, sia moderato che severo, gli oncologi dichiarano un buon livello di soddisfazione circa l’efficacia degli oppioidi, in particolare di quelli forti, mentre il giudizio sui FANS è più contenuto. Un ulteriore riprova arriva dall’atteggiamento adottato dai clinici in caso di effetto analgesico non ottimale: fino al 63% di chi prescrive oppioidi forti, infatti, tende ad aumentarne il dosaggio piuttosto che passare ad un’altra classe farmacologica; al contrario, nel caso dei FANS si registra uno switch terapeutico che raggiunge il 63% dei casi. Insoddisfatto degli antinfiammatori anche il 39% dei pazienti, mentre un complessivo 85% conferma l’efficacia degli oppiacei.

E gli effetti collaterali?
La presenza di effetti collaterali derivanti dai trattamenti terapeutici in atto è evidenziata da entrambi i campioni, benché il loro impatto sulla qualità di vita sia sottostimato dai medici, rispetto a quanto segnalato dai malati. In particolare, questi ultimi lamentano la comparsa di disturbi gastrici, costipazione e sonnolenza. Nel complesso, l’esigenza più avvertita dagli oncologi per un miglior controllo del dolore è di poter contare su medicinali meno “invasivi” ( 54% ) e, nel caso degli oppioidi, potersi avvalere di farmaci con dosaggi superiori rispetto a quelli oggi disponibili ( 48% ). Cure con minori effetti collaterali sono anche tra i desiderata dei pazienti, insieme alla richiesta di terapie più efficaci e di un maggiore supporto da parte dei clinici e delle Autorità sanitarie. «Abbiamo ritenuto importante promuovere questa indagine» ha spiegato Marco Filippini, direttore del Centro Studi Mundipharma, «per contribuire a fare luce su un aspetto rilevante legato alle diverse forme di neoplasia, il dolore. Se l’esperienza di un tumore è di per sé devastante, diventa un dovere morale di tutti gli addetti ai lavori fare il possibile per alleviare ai malati oncologici l’incubo della sofferenza fisica, inutile e crudele. La ricerca ha evidenziato che occorre ancora insistere sulla formazione dei clinici e sulla comunicazione ai cittadini, sia per promuovere la conoscenza della Legge 38, sia per favorire un approccio terapeutico più appropriato al dolore neoplastico, in grado di garantire a questi pazienti l’assistenza e l’attenzione cui hanno diritto».

La scelta degli oppiacei deve essere personalizzata
La scelta degli analgesici deve essere personalizzata, considerando vari fattori, tra cui: il tipo di dolore (nocicettivo o neuropatico); l’intensità; la potenziale tossicità del farmaco; le condizioni generali del paziente; i costi per la persona e la famiglia; il contesto di cura.
Il dosaggio degli analgesici deve essere individuale e la somministrazione va eseguita a orari stabiliti in modo da mantenere le giuste concentrazioni terapeutiche. Tuttavia è bene programmare dosi di emergenza che possono essere somministrate al bisogno, in aggiunta alla copertura di base (circa il 20% delle dosi di oppioide nelle 24 ore). È importante tenere sotto controllo quante dosi al bisogno vengono somministrate per definire se il trattamento in atto è sufficiente o deve essere modificato.
La morfina è l’oppioide di prima scelta per il dolore oncologico da moderato a grave. La morfina, somministrata per bocca, agisce dopo 20 minuti dall’assunzione e ha un picco dopo circa 60 minuti; le formulazioni a rilascio controllato (o modificato), agiscono dopo 1-2 ore e hanno un picco dopo 4 ore dall’assunzione. Le preparazioni per una somministrazione unica giornaliera hanno un picco dopo 8,5 ore. La via di somministrazione ottimale per la morfina è quella per bocca. Se il paziente non è in grado di assumere il farmaco per bocca la via di somministrazione alternativa più valida è quella sottocutanea. Di norma, la somministrazione di morfina per via intramuscolare non è consigliata nel dolore oncologico cronico.

A che punto siamo con l’informazione, quali sono i dati emersi sul livello di informazione circa gli oppioidi e la Legge 38?
Il 64% degli oncologi ritiene che in Italia manchi un’adeguata conoscenza di questi farmaci, il 62% giudica il loro impiego sottodimensionato a favore dei FANS e un complessivo 87% segnala di aver incontrato resistenze (spesso 33%, qualche volta 54%) presso i medici di medicina generale nel prescriverli. Uno scenario confermato anche dalle risposte dei pazienti: quasi la metà, infatti, ignora che cosa siano gli oppioidi e il 46% conferma la scarsa propensione di certi medici a consigliarli nel trattamento del dolore. Per quanto concerne la Legge 38, solo il 57% degli oncologi e il 14% dei pazienti dichiarano di conoscerla bene: tra i principali vantaggi apportati dalla normativa, il 49% degli specialisti e il 35% degli assistiti indicano la maggiore facilità di prescrizione dei medicinali a base oppiacea. In conclusione, la fotografia che si evince da questa indagine sul trattamento del dolore da cancro mostra una situazione in parte controversa. Se, da un lato, gli specialisti dichiarano una forte attenzione al malato e un comportamento che nel complesso segue le Linee Guida, i pazienti rivelano un quadro più eterogeneo e meno idilliaco, soprattutto per quanto riguarda la misurazione costante del dolore, i farmaci prescritti e l’impatto reale che la sofferenza fisica ha sulla qualità di vita. Su un aspetto, però, entrambi i campioni concordano: la reticenza dei medici, e in particolare dei generalisti, a fornire un’adeguata informazione sugli oppioidi e a prescriverli.

La definizione del dolore da parte di associazioni internazionali
L’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP) definisce dolore come “un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata a un danno tessutale reale o potenziale”. Il dolore è quindi un’esperienza soggettiva ed è influenzato da fattori culturali e da altre variabili psicologiche. Con dolore cronico si intende quel dolore “che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto” (definizione della IASP). Protraendosi nel tempo, il dolore cronico può causare effetti negativi gravi a livello psicologico e sulla qualità di vita. La Wisconsin Medical Society americana lo definisce come: dolore persistente, continuo o ricorrente di durata superiore a 6 settimane o di intensità sufficiente a produrre effetti negativi sul benessere del paziente, sui livelli funzionali e sulla qualità di vita. Il dolore può essere classificato in tre categorie che richiedono interventi e trattamenti diversi: dolore nocicettivo; dolore neuropatico; dolore idiopatico. Il dolore nocicettivo è la risposta fisiologica a un impulso esterno, può essere di origine muscolare o meccanico compressivo; il dolore neuropatico è causato da un danno o da una disfunzione del sistema nervoso centrale (per esempio sciatalgia da compressione dei nervi, neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino); il dolore idiopatico è di origine non nota, l’intensità e la durata non corrispondono a una motivazione organica. Il dolore cronico è un dolore misto, bisogna quindi fare riferimento alle tre componenti. Può essere difficile stabilire la causa scatenante del dolore cronico perché può derivare da una serie di fattori: il dolore può avere inizio da una malattia o un trauma e persistere a causa dello stress. Vi sono poi malattie specifiche spesso associate a dolore come per esempio diabete, problemi vascolari, herpes zoster e la maggior parte dei tumori. Questo percorso guidato è centrato sul dolore cronico di tipo oncologico.

Come si valuta il dolore?
Per fare una corretta valutazione del dolore cronico è importante considerare il dolore nella sua multidimensionalità, prendendo in esame le caratteristiche del dolore e del soggetto. È importante quindi: capire la natura dei problemi del paziente e, se possibile, la causa del dolore; identificare le comorbilità che possono incidere sul trattamento e sui sintomi; individuare le aspettative e gli obiettivi del paziente e il livello di consapevolezza su diagnosi e prognosi.
Tutti i pazienti hanno diritto ad avere una valutazione del dolore che includa: la documentazione delle caratteristiche del dolore (intensità, qualità, insorgenza, durata, variazioni, modalità di espressione e di sollievo, fattori aggravanti) e dei trattamenti. Il trattamento del dolore cronico può prevedere diversi approcci, ma è sempre consigliabile un piano multidisciplinare che preveda l’associazione di più interventi, farmacologici e non farmacologici. A parità di risultati attesi bisogna sempre scegliere la terapia che sia: meno invasiva; con meno effetti negativi; più gradita al paziente; meno costosa.
Secondo l’OMS le cure palliative sono parte integrante della terapia oncologica e l’approccio alla cura del paziente deve essere multidisciplinare. Oltre al controllo del dolore si devono curare gli aspetti psicologici, sociali e spirituali. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie. La terapia per il trattamento del dolore cronico, soprattutto in ambito oncologico, deve essere graduale, prevede cioè un approccio a scala crescente, partendo dalla terapia con analgesici non oppioidi, passando successivamente alla terapia con oppioidi deboli, fino a giungere alla terapia con oppioidi forti.

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