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Tumore al seno
Vera Lanza, N. 8/9 agosto/settembre 2013
Migliorano le aspettative di vita per le donne malate di tumore al seno. In Lombardia diffusione record. Il punto sulle più recenti innovazioni terapeutiche nell’ambito di una delle forme più aggressive di tumore al seno: il tipo HER2 positivo.
E questo grazie a terapie personalizzate. Anche se non si può nascondere che questa patologia continua a colpire un numero enorme di persone. E in Italia, a sorpresa è la Lombardia la regione che detiene il primato più triste: è al primo posto per diffusione del tumore al seno con circa
7.400 nuovi casi l’anno e oltre 1.500 decessi. Nonostante sul piano dello screening la Lombardia sia la Regione più virtuosa, l’adesione ai programmi di mammografia si attesta attorno al 75%, quindi lontani da numeri ottimali. Senza eccedere in entusiasmo, si può tuttavia dire che grazie alle nuove terapie, sempre più potenti e mirate per ciascun tipo di tumore aumentano di anno in anno aspettativa e qualità di vita per le pazienti con tumore mammario. E la buona notizia è che sono oltre 90mila le donne lombarde che convivono con la malattia. A Milano, di recente, si è svolto un workshop in cui oncologi medici si sono confrontati sulle ultime innovazioni nell’ambito del trattamento del tumore al seno, in particolare il tipo HER2 positivo (Human Epidermal Growth Factor Receptor 2) che rappresenta il 20-30% di tutte le diagnosi di carcinoma mammario. Una forma molto aggressiva, con una progressione rapida e un’età d’insorgenza sempre più bassa. Per questo tipo di tumore, la ricerca sta sperimentando molecole innovative, efficaci e rispettose della qualità di vita grazie al loro meccanismo d’azione target based. In occasione del convegno, è stato presentato anche il progetto itinerante "All Around Patients", nato per sottolineare l’importanza della centralità della paziente nei percorsi diagnostico-terapeutici e della sua qualità di vita.
«La sopravvivenza è migliorata per tanti motivi: maggiore conoscenza del problema nella popolazione, diagnosi precoce, che consente di scoprire tumori molto piccoli con un migliore e più efficace controllo della malattia e migliore qualità delle cure - osserva Luca Gianni, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica, IRCCS, Ospedale San Raffaele di Milano -. Negli ultimi 20 anni la medicina oncologica ha fatto progressi formidabili grazie a farmaci innovativi e al coordinamento multidisciplinare. Con le migliori possibilità di cura e la diagnosi precoce, a partire dai primi anni ’90, abbiamo assistito ad una riduzione dei tassi di mortalità a fronte di un aumento delle nuove diagnosi». Tra i farmaci innovativi il professore cita il "trastuzumab", anticorpo monoclonale specifico per HER2, i cui dati di efficacia sono emersi attorno al 2001-2002: «Da allora la storia naturale del carcinoma HER2 positivo è stata rivoluzionata: prima avevamo a che fare con un tumore aggressivo con un andamento caratterizzato da frequenti casi di recidive e metastasi. Da quando è disponibile trastuzumab abbiamo assistito ad una drastica riduzione delle ricadute e della mortalità, e nuovi farmaci mirati contro HER2 ci fanno sperare di migliorare ancor più questi risultati già molto positivi». Ma cerchiamo di capire il tumore di cui stiamo parlando. L’HER2 è un recettore presente sulla membrana di molte cellule che in situazioni normali ne regola la crescita e la proliferazione. Quando però il gene HER viene iper-espresso, il numero dei recettori aumenta in modo anomalo provocando una crescita cellulare incontrollata o maligna. Per il tumore HER2 positivo la ricerca scientifica è riuscita a individuare una serie di test diagnostici ad hoc. Come spiegano i ricercatori la tipizzazione dei vari tipi di tumore mammario è fondamentale per la scelta di farmaci specifici che aiuteranno a cambiare l’evoluzione e la prognosi di questa malattia. «Naturalmente - continua Luca Gianni - questo implica che il patologo sia sempre più una figura di riferimento nella strategia terapeutica e nel percorso clinico della paziente perché le scelte dell’oncologo si basano sempre di più sulle osservazioni del patologo». Tra i farmaci antitumorali come dicevamo un ruolo significativo lo svolge il Trastuzumab. Questo è un anticorpo monoclonale umanizzato utilizzato per combattere il carcinoma mammario avanzato recidivante o diffuso ad altri organi (carcinoma mammario secondario). Trastuzumab agisce impedendo l’ingresso ai fattori di crescita. «Con questa opzione terapeutica si può ridurre del 40-50% la mortalità delle donne colpite da tumore al seno HER2 positivo», afferma Sabino De Placido, Professore ordinario di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliero Universitaria Federico II di Napoli. Oggi, forti di questo traguardo terapeutico raggiunto, l’attenzione della ricerca è sempre più indirizzata alla qualità della vita delle pazienti e allo sviluppo di terapie personalizzate, più efficaci e meglio tollerate. La ricerca va avanti con studi clinici volti non solo a sperimentare formulazioni innovative, come quella per la somministrazione sottocutanea di trastuzumab, molto meno invasiva e più rapida, ma anche per la messa a punto di nuove terapie per le pazienti con tumore mammario HER2 positivo in fase avanzata. «Le opzioni terapeutiche in sperimentazione potranno aumentare le opportunità di cura delle pazienti con tumore al seno HER2 positivo migliorando l’attività terapeutica già ottimale del trastuzumab. Sicuramente l’introduzione di pertuzumab, inibitore della dimerizzazione di HER2, che inibisce la crescita cellulare e induce la morte delle cellule tumorali, costituisce un avanzamento importante nella possibilità di cura delle pazienti con malattia HER2 positiva sia in fase precoce che metastatica – sottolinea De Placido – inoltre, il T-DM1, anticorpo-farmaco coniugato che lega al trastuzumab un potente chemioterapico, rappresenta un altro farmaco di ultima generazione che speriamo sarà presto a disposizione di tutte le pazienti con malattia HER2 positiva del nostro Paese». Al momento, questi due farmaci, trastuzumab e pertuzumab, sono a disposizione solamente attraverso l’ampio programma di studi clinici avviato nei principali centri oncologici italiani.
Ed è proprio grazie a questi nuovi farmaci a bersaglio molecolare che la malattia metastatica HER2 positiva, ha cambiato la sua prognosi in maniera sostanziale. L’aspettativa di vita delle pazienti con tumore metastatico HER2 positivo, grazie alle innovazioni tecnologiche, si è notevolmente allungata e finalmente, dopo anni di ricerca in questo campo, si iniziano a vedere i risultati.
Cifre
Il tumore della mammella è la prima causa di morte per cancro nel mondo tra le donne al di sotto dei 55 anni ed il secondo tumore al mondo per diffusione. Secondo gli ultimi dati disponibili questo tumore provoca 500.000 morti in tutto il mondo; inoltre, ogni anno a livello globale sono diagnosticati 1 milione e 400.000 nuovi casi. In Italia, la diagnosi di tumore della mammella interessa oltre 300.000 donne, con oltre 47.000 nuovi casi ogni anno, circa 140 ogni 100.000 abitanti, e la malattia è responsabile di circa 11.700 decessi all’anno. La Lombardia è ai primi posti: ogni anno sono circa 7.400 le donne lombarde che ricevono una diagnosi di tumore al seno, 1.500 quelle che non ce la fanno. Il tumore del seno è la neoplasia nei confronti della quale si ha la maggiore percezione e sensibilità in fatto di diagnosi precoce, ed è elevata la disponibilità delle donne a sottoporsi allo screening mammografico. A questo proposito, in questi ultimi tempi vi è una tendenza ad anticipare l’età indicata per iniziare lo screening dai famosi “50” agli attuali 45, e sono in corso di valutazione programmi di screening sulle quarantenni.
Nuove terapie per il futuro
Per il trattamento del tumore HER2 positivo, gli scenari futuri riguardano il T-DM1, un altro farmaco di ultima generazione a disposizione delle pazienti con malattia HER2 positiva. Il T-DM1 è un anticorpo monoclonale specifico per il recettore HER2, il trastuzumab per l’appunto coniugato con una potente tossina che ha la capacità di distruggere la cellula tumorale una volta da questa incamerata. Questo meccanismo di azione, che consente al farmaco di essere estremamente selettivo nei confronti delle cellule da colpire, determina la sua elevata attività a livello dei tumori HER2 positivi con una relativamente limitata tossicità sistemica. Lo studio “Emilia” ha dimostrato l’attività del T-DM1 in pazienti con tumore HER2 positivo della mammella metastatico a progressione da un trattamento di prima linea contenente il solo trastuzumab in associazione con la chemioterapia. Tale attività si è attestata con un chiaro miglioramento sia del tempo alla progressione che della sopravvivenza globale delle pazienti a fronte di una tossicità non particolarmente preoccupante e facilmente reversibile. Le pazienti pertanto hanno potuto, nella maggior parte dei casi, continuare le loro attività quotidiane senza un rilevante impatto sulla qualità di vita.
Piccole dosi di Aspirina ostacolano lo sviluppo del cancro alla mammella
L’uso regolare di una bassa dose di aspirina potrebbe ostacolare il progresso del cancro alla mammella. Lo studio del Veterans Affairs Medical Center di Kansas City, Usa, è stato presentato durate la Conferenza Experimental Biology 2013, meeting della American Society for Biochemistry and Molecular Biology. La ricerca ha scoperto che l’aspirina rallenta la crescita delle linee cellulari del tumore alla mammella in laboratorio e riduce la crescita del tumore in alcuni modelli murini. Inoltre, mostra anche la capacità di prevenire le metastasi. L’aspirina interferisce con la capacità delle cellule cancerose di diventare aggressive: nei topi, le cellule non riuscivano quasi a formare cellule staminali, che si ritiene siano quelle che alimentano la crescita e la diffusione del tumore.
Nelle mammografie 3d meglio usare due punti di vista
Quando si fanno le mammografie tridimensionali è meglio guardare da due punti di vista diversi per evitare di perdere qualche tumore. Lo afferma uno studio dell’Università di Yale presentato al meeting della American Roentgen Ray Society in corso a Washington. Le due viste, una mediolaterale e una craniocaudale, sono lo standard negli Usa, spiegano gli autori, mentre in Europa si inizia ad analizzare il seno solo guardandolo da un lato. I ricercatori hanno rianalizzato 164 tumori scoperti con la mammografia cercando da quale angolo erano stati visti, e trovando che nel 56% dei casi era sufficiente una sola delle due viste (soprattutto quando il tumore è localizzato molto all’interno del seno), mentre nel 34% serviva quella cranio caudale.
Bere alcolici moderatamente abbassa il rischio di morte per tumore al seno
Le donne con un tumore al seno che prima della diagnosi avevano un consumo moderato di alcol hanno una probabilità leggermente minore di morire per la malattia. Lo afferma uno studio del Fred Hutchinson Cancer Research Center in Seattle pubblicato dal Journal of Clinical Oncology. I ricercatori hanno monitorato 23mila donne che hanno avuto una diagnosi di tumore al seno tra il 1985 e il 2006, chiedendo loro di riportare le abitudini all’alcol e altre caratteristiche come la quantità di esercizio fisico. Le donne che bevevano da tre a sei drink alla settimana avevano il 15% in meno di probabilità di essere morte per il tumore 11 anni dopo la diagnosi. Ovviamente il consiglio dei ricercatori non è di bere smodatamente. Lo studio evidenzia solo che un consumo moderato non è nocivo per la salute.
Tumore al seno metastatico, un’indagine mette in luce che le donne si sentono sole, chiedono ascolto e informazioni
Tre su dieci hanno meno di 45 anni, una intensa vita familiare e la metà lavora. Giovani e vitali, le donne colpite da tumore al seno metastatico lottano contro la malattia, ma sentono il bisogno di non essere sole. Il 95% chiede ascolto da parte del medico e 2 su 3 vorrebbero essere più informate sulla malattia e le terapie disponibili. Il 70% chiede un maggiore supporto nella quotidianità, in particolare alle persone più vicine (il partner, i figli). È la fotografia delle donne colpite da tumore al seno metastatico tracciata dall’indagine di GfK Eurisko per Europa Donna Italia. Dall’indagine emerge che: hanno in media 54 anni, mentre circa il 30% ne ha meno di 45 e una vita affettiva, relazionale intensa. La maggioranza è, infatti, sposata e la metà ha un figlio ancora minorenne. Il 40% lavora. Ma proprio perché ancora giovani e socialmente, professionalmente e sessualmente attive, la malattia ha sulla loro vita un impatto ancora più importante: per il 66% delle intervistate la malattia interferisce in modo consistente con lo svolgimento delle normali attività quotidiane, percentuale che sale al 70% in riferimento all’attività lavorativa. La malattia e la terapia influiscono anche sulla vita affettiva e sessuale e a soffrirne sono, in modo ancora più accentuato, le donne più giovani (tra i 35 e i 45 anni). Disporre di un trattamento specifico per le metastasi ossee è ritenuto importante dall’intero campione delle intervistate, che lo reputano fondamentale per poter rallentare l’evoluzione della malattia e sostenere la speranza. «Il tumore viene descritto da molte come un mostro, indomabile, inarrestabile – spiega Isa Cecchini, direttore del dipartimento GfK Eurisko Healthcare, che ha condotto l’indagine, a cui hanno aderito 84 donne affette da carcinoma metastatico al seno -. Ma le donne non si arrendono. Si sentono, anzi, impegnate in una lotta per la vita». L’idea di coinvolgere queste donne, chiedendo loro di mettere a nudo le proprie fragilità, è venuta a Francesca Balena, paziente e Consigliere Europa Donna Italia. «Abbiamo raccolto dati importanti sui loro bisogni da portare all’attenzione degli operatori sanitari, dell’opinione pubblica e delle Istituzioni, ma ha anche offerto loro un’opportunità importante di condivisione». Una determinazione e una forza che sono proprie anche del Movimento di Europa Donna Italia, che nasce proprio per promuovere e difendere i diritti e le istanze delle donne colpite da tumore al seno. «Impegno ancora più forte quando si tratta di pazienti con tumore metastatico, che si misurano con una patologia che si presenta sotto altre forme nel corso degli anni – spiega Antonella Moreo, Delegato Europeo Europa Donna Italia -. Se da un lato, oggi, la medicina punta a cronicizzare queste pazienti permettendo loro di vivere nonostante la malattia, dall’altro è preciso compito di un gruppo di advocacy attivarsi perché questa tipologia di pazienti possa ricevere da parte del Sistema Sanitario, cure e attenzioni adeguate». A dare un’idea dell’importanza di questa patologia è Lucia Del Mastro, oncologa dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova: «In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 12.000 nuovi casi di carcinoma mammario metastatico. A oggi, le donne colpite nel nostro Paese sono circa 30.000, più di quelle colpite da altri tumori femminili quali quello all’utero e all’ovaio. Ciononostante l’attenzione sia da parte degli operatori sanitari sia dei media si concentra spesso su altre forme tumorali o, nel caso del carcinoma mammario, ci si sofferma solo sui casi, fortunatamente la maggioranza (circa l’ 87% ), che guariscono».
La mammografia rivela l’efficacia di un farmaco contro le recidive
È possibile monitorare l’efficacia del tamoxifene, un farmaco comunemente utilizzato per ostacolare le recidive del tumore al seno. La scoperta è dei ricercatori del Karolinska Institutet che hanno sviluppato un metodo di valutazione degli effetti del trattamento farmacologico che consiste nell’osservazione e nella misurazione della percentuale di tessuto denso attraverso la mammografia. Secondo la ricerca, apparsa sul Journal of Clinical Oncology, una diminuzione marcata della densità del seno durante la terapia a base di tamoxifene è associata al rischio inferiore di morire di cancro al seno. Una riduzione della mortalità per tumore alla mammella, riscontrata dagli scienziati, del cinquanta per cento. La strategia fornisce ai medici nuove possibilità per identificare la risposta del paziente al tamoxifene nella fase iniziale di trattamento. Il farmaco da terapia ormonale abitualmente è somministrato in un periodo di cinque anni per prevenire le ricadute delle donne che hanno completato il ciclo di trattamento del cancro primario al seno. Attraverso la mammografia, secondo gli studiosi, sarà adesso possibile rilevare la sensibilità delle donne al trattamento e la loro propensione alle ricadute dalla misurazione della percentuale di tessuto che appare bianco, corrispondente alla densità, in contrasto con le parti più scure relative ai tessuti grassi.
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EUROPA DONNA ITALIA
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