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Cure palliative: il 39% delle unità al di sotto dei requisiti minimi
Paola Sarno, N. 6/7 giugno/luglio 2013
Secondo il recente Rapporto dell’Agenzia Nazionale dei Servizi Sanitari Regionali (Agenas) dal titolo “Accanto al malato oncologico e alla sua famiglia: sviluppare cure domiciliari di buona qualità”, solo il 19% delle Unità di cure palliative in Italia rispettano tutti i requisiti previsti dalla legge 38/2012. Il 42% delle strutture, inoltre, raggiunge solo i criteri minimi richiesti e ben il 17% della popolazione – soprattutto del Meridione – risiede in una provincia in cui non è presente alcun servizio domiciliare dedicato. Questi i primi dati emersi dall’indagine che ha fotografato la situazione dell’offerta di cure palliative nel nostro Paese e che è stata presentata a Roma nel corso di un convegno presso il Ministero della Salute. Uno studio dal quale è emersa anche la chiara necessità di attivare presto un Osservatorio per il costante monitoraggio della situazione.
Il campione dell’indagine
Complessivamente hanno aderito all’indagine 177 (su 479) Unità di offerta di Cure Palliative (UDO) domiciliari (di queste, 132 con équipe dedicate), 143 realtà che forniscono supporto alla famiglia e ai caregiver, 90 Unità Operative di Oncologia, Ematologia o Onco-Ematologia (UO) che si occupano di Continuità delle Cure nell’ambito delle cure palliative e 8 Unità di Cure Palliative domiciliari specificamente dedicate ai pazienti pediatrici. Delle 177 UCP che hanno risposto all’indagine, 107 erogano servizi in linea almeno con i criteri minimi. Più nello specifico di tutte le Unità rilevate è risultato che 70 UCP (pari al 39% ) opera senza criteri minimi, non disponendo contemporaneamente di medici e di infermieri dedicati alle cure palliative, che redigano un piano assistenziale individualizzato (PAI), ma sono individuate formalmente all’interno del Piano organizzativo aziendale, come previsto dall’Intesa Stato-Regioni del 25 luglio 2012, attuativa della legge 38/2010. Sono 74 (il 42% ) invece le UDO che operano sopra la soglia minima e 33 (il 19% ) quelle in cui sono adempiuti tutti gli standard richiesti dal comitato scientifico che ha firmato l’indagine, un board di esperti diretto da Gianlorenzo Scaccabarozzi, vicepresidente della commissione nazionale Cure Palliative e Terapia del Dolore del Ministero della Salute e da Renata Bellentani dell’Agenas.
Tipologia delle unità di cure palliative
Due terzi ( 67% ) delle UCP appartengono all’ambito Pubblico, mentre il 26% delle UCP si sono qualificate come Centri erogatori accreditati non profit, rappresentativi del cosiddetto Terzo Settore. Il 90% delle UCP eroga Cure Palliative domiciliari attraverso interventi specialistici. Ciò è confermato, con variazioni percentuali minime, anche per le realtà che non dimostrano di possedere tutti i criteri minimi sopra richiamati. In questo senso, l’ 80% delle UCP senza criteri minimi eroga Cure Palliative domiciliari con interventi specialistici. Nel 63% dei casi l’attività delle UCP è supportata da organizzazioni non profit, mentre nel 71% dei casi esiste una collaborazione con istituzioni educative culturali, sociali e con associazioni di volontariato del territorio per la sensibilizzazione e la formazione nell’ambito delle Cure Palliative.
Le caratteristiche delle équipe professionali
Il rapporto tra i membri dell’équipe dell’UCP e i Medici di Medicina Generale (o Pediatri di Libera Scelta) è definito da un protocollo operativo formalmente approvato dall’ASL (oltre a quanto previsto da normative/procedure definite a livello regionale) nel 60% dei casi considerati. Più di tre quarti ( 77% ) delle UCP dichiara di collaborare, attraverso protocolli formalizzati, sia con gli ospedali di riferimento, sia con gli hospice. In relazione alle due principali figure professionali operanti nelle équipe di cure palliative (medico e infermiere), la continuità assistenziale viene garantita meno frequentemente nella fascia notturna rispetto a quella diurna. In particolare, di notte, il servizio non garantisce l’assistenza medica per il 51% delle UCP e l’assistenza infermieristica per il 73% delle UCP. Sempre in riferimento all’assistenza notturna, ed integrando la possibilità di assistenza da parte del Medico di Continuità Assistenziale (MCA) coadiuvato con la consulenza telefonica del medico UCP e da parte del 118, il 37% delle UCP non ha accordi specifici per garantire la Continuità Assistenziale attraverso queste modalità. In media in ogni équipe vi sono 3,6 Medici palliativisti e 4,8 Infermieri esperti in CP, sebbene con impegno orario settimanale inferiore ai valori assimilabili al tempo pieno (23,5 ore e 26,8 ore settimanali, rispettivamente). Nella maggioranza delle UCP che soddisfano tutti i criteri ( 85% ), le riunioni periodiche di condivisione e confronto tra le componenti dell’équipe avvengono di norma una volta a settimana (a fronte di una percentuale del 60% valutata su tutte le 177 UCP). Questo dato risulta nettamente inferiore per le UCP che non possiedono almeno i 4 criteri minimi ( 33% ), che prediligono invece riunioni con frequenza decisa in base alle esigenze ( 63% ).
Liste di attesa ancora lunghe e bassa intensità assistenziale
Rispetto all’intensità assistenziale dei malati oncologici deceduti, il 37% delle UCP non fornisce alcun dato, mentre il valore medio del cosiddetto Coefficiente di Intensità Assistenziale (CIA), si attesta a 0,55. Le strutture che soddisfano tutti i criteri e quelle che possiedono i 4 criteri minimi presentano valori medi di CIA prossimi al valore 0,6. Valori inferiori sono stati registrati in relazione alle Unità senza i criteri minimi (0,48). È da notare quanto la capacità di fornire il dato relativo alle giornate di cura (GdC) e alle Giornate effettive d’assistenza (GEA) sia ancora problematica. Infatti il 60% delle UCP non fornisce o l’uno o l’altro o entrambi, con percentuale analoga anche per le UCP che hanno dichiarato di possedere tutti i criteri. È, invece, proprio attraverso il rapporto GEA/GdC che viene calcolato il CIA, che si è dimostrato essere un indicatore rappresentativo della risposta assistenziale ai bisogni del malato. L’incapacità di documentare queste informazioni relative alla durata dei percorsi assistenziali e alla loro intensità appare particolarmente critica nell’ambito delle buone pratiche assistenziali. In media, poi, i pazienti oncologici allo stadio terminale della malattia restano in carico alle UCP 48 giorni, con forti divari tra UCP senza criteri minimi (59 giorni) e le altre due tipologie (41-42 giorni in media). Rispetto al tempo intercorso tra il momento della segnalazione e la presa in carico, ed escludendo i valori mancanti (mediamente riguardanti il 12% di malati tra le varie UCP, dato variabile da un 26% per UCP senza criteri minimi al 4% per le UCP degli altri due gruppi), la maggior parte delle UCP ( 73% ) dichiara di prendere in carico i malati entro 3 giorni dalla segnalazione ( 24% mediamente entro un giorno). Riguardo, poi, il luogo del decesso dei malati oncologici deceduti entro l’anno, considerando che i dati in questo senso sono stati forniti dal 90% delle UCP il domicilio rappresenta il luogo di decesso prevalente per i malati assistiti in Cure palliative domiciliari (in media il 71% dei decessi) seguito dall’hospice ( 14% ). Una quota ancora elevata di malati (pari al 13,3% dei decessi) muore ancora in ospedale. Per quanto riguarda gli accessi a domicilio dei malati assistiti, infine, molte UCP non sanno quantificarne il numero e i dati forniti a questo proposito sembrano in molti casi inattendibili.
Un kit e una app per aiutare a rilevare e poter curare i sintomi
Un Kit per il sollievo dal dolore e una App “misura-dolore” sono stati realizzati dalla Fondazione Alitti, nata nel 1993 con obiettivi di solidarietà sociale nel rispetto della volontà testamentaria di Leonida Alitti, l’ultimo esponente della famiglia alla guida della Molteni farmaceutici dai primi del’90 agli anni’70. Il Kit per il sollievo dal dolore è dedicato agli operatori sanitari, medici e infermieri, soprattutto a chi opera a domicilio del malato, e ha lo scopo di aiutare i pazienti e i loro familiari a comprendere meglio il dolore e a riferirlo correttamente a chi lo assiste. In pratica il kit è costituito da un volumetto informativo, un regolo per la misurazione del dolore (utile per “valorizzare numericamente” la sensazione fastidiosa), un diario settimanale sul quale annotare i valori dell’intensità del dolore registrati ogni giorno, al fine di indicare correttamente al medico l’evoluzione della sintomatologia e infine il testo integrale della Legge 38 sulle Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Sempre allo scopo di aiutare la persona che soffre ed il suo medico, la Fondazione Alitti ha voluto realizzare la prima “App misura-dolore” con il fine non solo di permettere al paziente di quantificare il dolore attraverso una scala numerica validata, ma anche di registrare il valore corrispondente, l’orario di rilevamento e l’eventuale assunzione di farmaci antidolorifici, così da poter trasferire al medico un preciso quadro della situazione.
Dalla stato-regioni le cooordinate per palliazione e terapia del dolore
Saper riconoscere il malato oncologico e non, per assisterlo nella fase terminale della sua malattia. Sapere presentare al paziente e alla sua famiglia il fine della domiciliarità o del ricovero in hospice. Non solo: sapere gestire i dilemmi etici propri della fase terminale. E ancora: conoscere la legislazione e i principi organizzativi delle attività clinico assistenziali. Questi i requisiti minimi in termini di conoscenza, competenza e abilità che i professionisti, che operano nell’ambito delle reti di cure palliative e terapia del dolore per adulti e bambini, devono possedere per poter operare nelle strutture sanitarie pubbliche, private e non profit. A stabilirlo è la bozza di Accordo – all’esame dei tecnici della Conferenza Stato-Regioni – che individua, inoltre, gli ambiti professionali, le aree di attività e tipologia di qualifica, nonché i contenuti formativi di ogni figura professionale ed evidenzia quali siano le professionalità che integrandosi garantiscono cure contro il dolore, a partire dai medici esperti in cure palliative per adulti e bambini, ai medici di medicina generale, dagli infermieri, agli psicologi, ai fisioterapisti fino agli assistenti sociali, agli operatori socio sanitari, ai terapisti occupazionali e ai dietisti. Si stabilisce nel documento, infine, che il funzionamento delle reti assistenziali è garantito, a seconda della patologia e del quadro clinico, anche con la partecipazione di ulteriori figure professionali già presenti nelle strutture territoriali.
Cipomo: avviato progetto Kairos per evidenziare i costi evitabili
Il collegio dei primari oncologi medici ospedalieri (CIPOMO) ha avviato un progetto, denominato “Kairos” con l’obiettivo di arrivare a un riposizionamento strategico dell’oncologia medica nel prossimo decennio. Tra le priorità del Progetto Kairos ci sono lo sviluppo di modelli specifici sulla continuità di cura ospedale e territorio e l’attivazione dei percorsi del paziente per specifiche patologie e gruppi evidenziando i costi evitabili per i vari modelli di assistenza oggi attuati nelle varie strutture ospedaliere. Ad annunciarlo è stato Roberto Labianca, attuale presidente del CIPOMO, a margine della giornata di studio “Beyond the fence”, che si è svolta presso l’Università Bocconi di Milano. Secondo quanto dichiarato da Labianca, la complessità delle discipline oncologiche è cresciuta e in termini di sopravvivenza i dati relativi ai pazienti sono migliorati. È per questo che “l’aumentare degli ambiti e della complessità della disciplina non può non corrispondere e tradursi in un modello che non sia parallelo a questa crescita. Quello che dà fastidio”, ha concluso il presidente del CIPOMO, “è la stolta offensiva nei confronti del sistema sanitario”.
AGENAS: necessaria la creazione di un osservatorio e di un portale
Obiettivo dell’indagine Agenas è quello di “aiutare le strutture erogatrici di cure palliative nella rilevazione delle proprie criticità, stimolandole e supportandole nella ricerca di percorsi virtuosi di miglioramento, consentendo loro di avvicinarsi progressivamente ai livelli di eccellenza già raggiunti dalle strutture più virtuose”. Nell’ottica del cittadino, invece, l’indagine intende dare il suo contributo “alla diffusione della conoscenza in termini di offerta delle strutture erogatrici di cure palliative domiciliari, pediatriche e dei Centri di supporto alla famiglia su tutto il territorio nazionale, potendosi essi misurare con i bisogni e le preferenze dei malati e dei loro familiari. In questa prospettiva – scrivono gli esperti nell’introduzione al Rapporto – lo sviluppo di un portale che sintetizzi le strutture attive sul territorio nazionale sarà cruciale “. Ma il fine ultimo dello studio è quello di porre le basi per attivare un Osservatorio nazionale delle Buone Pratiche relative che effettui un costante monitoraggio riguardo alle: cure palliative domiciliari, rivolte sia agli adulti sia ai malati in età pediatrica, con particolare (ma non esclusiva) attenzione alle malattie neoplastiche; alla continuità di cura fra ospedale e domicilio nelle strutture di Oncologia ed Ematologia; al sostegno ai familiari che si prendono cura dei malati assistiti in cure palliative domiciliari.
L’Umbria approva linee guida per una rete regionale di terapia del dolore
Migliorare la qualità della vita delle persone affette da dolore cronico di qualsiasi origine: e l’obiettivo delle strutture che entreranno a far parte della ‘’Rete regionale per la terapia del dolore’’, le cui linee di indirizzo sono state approvate dalla Giunta regionale umbra, su iniziativa dell’Assessorato alla Sanità. La Rete nasce in seguito al recepimento delle disposizioni della legge 38/2010, che garantisce nell’ambito dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) percorsi definiti per le cure palliative e la terapia del dolore, nonché dell’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 2010 e della successiva Intesa del luglio 2012. Fine della Rete, che si articolerà attraverso forme organizzate di collaborazione delle strutture sanitarie locali, è quello di prendere in carico il paziente con dolore per garantire un percorso assistenziale appropriato alla gravità della situazione assicurandone la continuità nell’assistenza ed il monitoraggio, anche attraverso l’utilizzo di sistemi informatici integrati tra i diversi livelli assistenziali. Tra le priorità, anche quella di garantire l’equità di accesso e percorsi diagnostico-terapeutici appropriati e tempestivi. La rete umbra coinvolgerà oltre ai medici di famiglia e agli specialisti in anestesia e rianimazione, anche molte altre professionalità per un approccio multidisciplinare al problema. È prevista poi anche la valorizzazione del ruolo del volontariato che opera nell’assistenza delle persone affette da patologie con sintomatologia dolorosa.
Italia modello ideale per le cure palliative pediatriche?
È italiano il modello ideale, almeno a livello legislativo, per le cure palliative. Tanto che l’Onu sta già valutando se adottare la nostra legge 38/2010 quale “model law” globale, non solo per l’Europa, ma anche per tutti i Paesi Onu, a partire dall’Africa e dai Paesi terzi. A rendere tanto speciale la normativa, sono soprattutto le sue specifiche indicazioni in tema di cure palliative pediatriche, grazie alle quali ognuno dei 12mila bambini italiani colpiti da una malattia inguaribile e terminale ha diritto a un adeguata terapia del dolore, al trattamento dei sintomi, al sostegno psicologico per sé e per la propria famiglia, ma anche al gioco e alle relazioni sociali. La legge fa proprie le indicazioni del Progetto Bambino, il primo europeo di cure palliative pediatriche, ideato e portato avanti in Veneto dalla Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio, sotto la direzione della pediatra Franca Benini. Progetto Bambino è stato indicato dal ministero della Salute alle Regioni quale modello a cui uniformarsi nella realizzazione di una rete capace di fornire ai piccoli pazienti cure adeguate in fase acuta e della quale devono far parte diverse figure professionali, dal pediatra, allo psicologo, dallo specialista all’infermiere. A Padova, dove lavora Benini, esiste già un Centro multidisciplinare che gestisce 300 bambini e un hospice pediatrico funzionante, l’unico al momento nel nostro Paese. Ma diverse sono le realtà già in campo e molti i progetti. Due hospice pediatrici sono previsti a breve in Piemonte (a Torino e Alessandria) e uno in Liguria. Anche in Basilicata esiste un piccolo centro di cure palliative pediatriche che ha in carico 22 bambini. A Pordenone, poi, è in corso un progetto pilota per l’oncopediatria, finanziato dalla provincia. La situazione è però in costante evoluzione con 11 regioni oltre al Veneto che hanno deliberato in materia. Alcune, come Lazio, Piemonte, Calabria, Basilicata e la provincia autonoma di Trento, hanno anche aderito al Progetto Bambino. Altre (Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Puglia, Campania) hanno invece scelto modelli differenti e molte delle Regioni che non hanno ancora deliberato al riguardo sono in procinto di farlo, come le Marche. Ma anche a livello mondiale qualcosa si muove: esperti di 40 Paesi (provenienti da 26 nazioni europee e da Canada, Usa, Cile, Brasile, Uruguay, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Singapore, India, Sud Africa, Uganda, Kuwait e Israele) si sono già confrontati a Roma con l’obiettivo di creare un network internazionale per la difesa dei diritti dei più piccini. Solo in Italia sono circa 11.000 i minori con malattia inguaribile e/o terminale (1/3 oncologica – 2/3 non oncologica), bisognosi di cure palliative. La mortalità annuale per queste patologie in Italia è stimata in 1.100-1.200 casi, pari a 1 su 10.000. L’assistenza, a tutt’oggi inadeguata, costringe i bimbi a trascorrere lunghi periodi nei reparti ospedalieri, quando sarebbe possibile sia la gestione domiciliare sia in strutture residenziali dedicate.
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