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I tumori del sangue in Italia

Minnie Luongo, N. 6/7 giugno/luglio 2013

La conoscenza dei cosiddetti tumori solidi, da parte della popolazione (ma non solo), è abbastanza buona, a differenza di quanto accade per i tumori del sangue. Questa l’opinione che ci siamo fatti scrivendo per Prevenzione Tumori da un bel po’ di anni. Tutt’altro scenario è, invece, quello che riguarda i tumori del sangue. Ecco perché è stato più che utile il “Media Academy” realizzato a Milano da Mundipharma per una decina di giornalisti, con la consulenza di due autorevoli ematologi. Prima di passare la parola ai due esperti, è il caso di ricordare che purtroppo non esiste (almeno finora) alcuna prevenzione per tali tumori, ma questo è un motivo di più per abbreviare i tempi dai primi sintomi avvertiti al momento della diagnosi.

Intervista al professor Fabrizio Pane

Professor Pane, partiamo con illustrare lo stato dell’arte dei tumori del sangue.
«Si stima che in Italia vi siano ogni anno 364.000 nuove diagnosi di tumore (esclusi i carcinomi della cute), delle quali 202.000 ( 56% ) fra gli uomini e circa 162.000 ( 44% ) fra le donne. Il progressivo aumento della popolazione e il concomitante allungamento della vita media, registrato in questi ultimi anni nei Paesi occidentali anche grazie alle nuove terapie, portano a un costante incremento dei nuovi casi di tumori. Se i tassi di incidenza rimanessero invariati, quindi, osserveremmo un complessivo aumento dei casi nel prossimo futuro, rispetto alle stime 2012 ( +34% nel 2020 e +55% nel 2030). Tra questi, le patologie oncoematologiche nel loro complesso rivestono un ruolo di primo piano. Infatti, nonostante ciascuna entità riferibile all’eterogeneo gruppo di neoplasie del sistema emolinfopoietico sia da considerare relativamente rara, se confrontata con l’incidenza delle forme più frequenti di tumori solidi, è necessario sottolineare che:

  • l’incidenza complessiva dei tumori del sangue è il 10% di tutti i tumori;
  • leucemie e linfomi sono al nono e all’ottavo posto, rispettivamente, tra le cause di morte neoplastica;
  • numerose forme sono particolarmente frequenti nell’età pediatrica e tra i giovani adulti. In particolare, nella fascia di età 0-45 anni, le leucemie sono la quinta causa di morte più frequente in ambo i sessi ( 9.8% di tutti i tumori), e i linfomi la sesta causa più frequente; > esistono forme assai eterogenee per presentazione clinica, caratteristiche biologiche, approcci diagnostici, prospettive prognostiche, complessità e articolazione delle strategie terapeutiche; > si registrano prospettive di guarigione in percentuali spesso molto elevate di pazienti: per es. >80% nelle leucemie linfoblastiche in età pediatrica; >80% nelle leucemie acute promielocitiche; >80% nel linfoma di Hodgkin; >50% nei linfomi aggressivi di tutte le età;
  • le prospettive di controllo a medio-lungo termine della malattia sono in rapida estensione a molte forme e in percentuali crescenti di pazienti».

Che cosa sono i linfomi?
«I linfomi sono un gruppo eterogeneo di tumori del sistema linfatico, che prendono origine dai linfonodi, cellule presenti nei tessuti con la funzione di proteggere l’organismo da agenti esterni e da malattie.

  • I linfomi di Hodgkin costituiscono il 30-40% di tutti i linfomi, con un’incidenza più marcata nei soggetti giovani (20-30 anni) e negli anziani ultrasettantenni.
  • I linfomi non-Hodgkin rappresentano il tumore ematologico più diffuso, con un picco di incidenza in età adulta, in soggetti con età superiore ai 70 anni, e con una mediana di insorgenza di 65 anni. Dal punto di vista clinico-patologico, i linfomi non-Hodgkin si classificano in forme ad alto grado (o aggressivi) e a basso grado (o indolenti). I primi si caratterizzano per un esordio improvviso con sintomatologia clinica evidente ma, paradossalmente, hanno maggiori possibilità terapeutiche; il trattamento adeguatamente effettuato può determinare la guarigione in più della metà dei casi. I linfomi non-Hodgkin indolenti, invece, si contraddistinguono per un decorso clinico lento ma insidioso e sono spesso asintomatici nelle fasi iniziali della malattia; mostrano un andamento clinico cronico-recidivante; tuttavia, non è possibile eradicare la malattia, e sono quindi molto esigue le reali possibilità di guarigione».

Passiamo alle leucemie.
«Anche le leucemie, sulla base del decorso clinico, si possono classificare in forme acute, caratterizzate da una rapida espansione del clone cellulare leucemico e da una veloce comparsa dei sintomi clinici, e croniche, in cui le cellule neoplastiche presentano una tendenza ad espandersi molto più lenta. Le leucemie acute sono dovute alla trasformazione neoplastica dei precursori immaturi, siti nel midollo osseo emopoietico, delle cellule del sangue. Le varie forme di leucemia hanno una diversa incidenza a seconda dell’età: la leucemia linfatica acuta ha un picco di incidenza in età pediatrica fino all’adolescenza, poi la sua frequenza decresce nel giovane adulto, per cominciare ad aumentare nuovamente dopo i 60 anni. La leucemia mieloide acuta interessa, invece, soprattutto l’anziano e la sua frequenza cresce progressivamente con l’età. Anche le forme di leucemia cronica tendono a prevalere in età avanzata».

E veniamo al mieloma multiplo.
«Il mieloma multiplo è la seconda neoplasia ematologica per incidenza (dopo il linfoma) ed è caratterizzato dalla trasformazione neoplastica delle plasmacellule, cellule localizzate soprattutto nel midollo osseo, che svolgono un importante ruolo “effettore” nell’ambito del sistema immunitario dell’organismo: hanno, infatti, il compito di produrre anticorpi per combattere le infezioni. L’espansione della massa plasmacellulare neoplastica nel midollo osseo emopoietico si manifesta clinicamente con dolori ossei, insufficienza renale e citopenie da insufficienza midollare. Difatti, la crescita neoplastica determina erosione degli spazi intratrabecolari ossei, legata, in parte, anche allo stimolo dell’attività osteoclastica indotta dalla secrezione di specifiche citochine da parte delle plasmacellule neoplastiche. Il riassorbimento del tessuto osseo minerale può essere molto rilevante, tanto da portare a fratture ossee patologiche. Inoltre, la crescita neoplastica intramidollare determina citopenie, ossia soppressione della crescita e differenziazione di altre cellule ematiche (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine), e può comportare quindi anemia, difetti nella coagulazione e indebolimento delle difese immunitarie. Molto frequente è anche il coinvolgimento renale con insufficienza della funzione dell’organo. Il mieloma multiplo è una neoplasia tipica dell’età avanzata (oltre 2/3 delle diagnosi riguardano persone ultra 65enni), con una maggiore diffusione nel sesso maschile».

Questo il panorama.
Quali sono, invece, le nuove frontiere che si prospettano?

«Grazie alla ricerca e alle nuove terapie disponibili, solo rispetto a 15 anni fa l’aspettativa di vita dei pazienti si è quadruplicata e, per alcune patologie, si è raggiunta persino la guarigione. La leucemia mieloide cronica è uno degli esempi più significativi, in tal senso. Questa malattia, infatti, fino a pochi anni fa poteva essere curata solo con il trapianto di cellule staminali, mentre ora, dopo l’avvento delle terapie mirate, presenta altissime percentuali di sopravvivenza. Ciò fa pensare a un futuro in cui sarà possibile interrompere la cura senza recidive della malattia. Analogamente, i nuovi farmaci biologici, cosiddetti “intelligenti” perché utilizzati per colpire solo le cellule malate senza danneggiare le altre sane, hanno portato a una percentuale di sopravvivenza fino all’ 80% per la leucemia linfatica acuta, e pari al 60% per i linfomi non Hodgkin, specie nelle forme aggressive».

Per finire, Professor Pane, diamo forma riassuntiva i dati epidemiologici sui principali tipi di neoplasie del sangue.
«I farmaci chemioterapici impiegati per contrastare queste gravi patologie sono di solito aggressivi e potenzialmente tossici per l’organismo, con pesanti effetti collaterali. Attualmente sono in commercio nel mondo circa 150 farmaci biologici e altri 400 sono in fase di sviluppo clinico. Un ruolo sicuramente importante verrà giocato in futuro da quei farmaci che, a parità di efficacia, risultino ben tollerati dal paziente e possano per questo essere utilizzati senza complicanze, anche in presenza di età avanzata e di comorbidità. Considerazione non da poco, sia perché i tumori del sangue colpiscono spesso in tarda età, sia perché nel nostro Paese il tasso di natalità è fra i più bassi del mondo e gli over 65, oggi pari al 21% della popolazione, sono destinati a diventare il 35% entro il 2030. La crescita delle neoplasie del sangue e l’invecchiamento della popolazione italiana vanno di pari passo; tuttavia, se prima c’era una sorta di sfiducia negli strumenti a disposizione dell’ematologo per curare i soggetti anziani, oggi è importante conoscere le nuove possibilità, per poter offrire ai pazienti in età geriatrica terapie sempre più personalizzate, in grado di coniugare l’efficacia a un buon profilo di sicurezza. Tra queste, bendamustina, un innovativo agente anti-neoplastico, che può consentire una speranza di cura anche ai pazienti in condizioni di particolare fragilità».

Intervista al professor Pier Luigi Zinzani
Con Lei, Professor Zinzani, facciamo invece il focus sui linfomi, che rappresentano una patologia in continua crescita. «Il mondo dei linfomi rappresenta una particolare situazione, per quanto riguarda lo scenario terapeutico specifico. Ciò perché, sotto la voce “linfoma”, si possono tranquillamente elencare almeno circa 30 diverse entità anatomo-cliniche che, a loro volta, possono presentare terapie molto diverse, in funzione della tipologia del linfoma.

  • Lo scenario dell’armamentario terapeutico attuale nell’ambito del linfoma di Hodgkin è costituito dalla convenzionale polichemioterapia con la quale, ad oggi, si riesce a “guarire” circa il 7580% dei pazienti. Inoltre, sono in arrivo un magico anticorpo monoclonale “drug-coniugated” (è come un killer silenzioso), più un “vecchio/nuovo” chemioterapico, la bendamustina. I dati, anche se preliminari, di questi due farmaci hanno recentemente fatto riaccendere entusiasmo nell’approccio terapeutico dei pazienti ricaduti o refrattari alla terapia convenzionale.
  • Un altro settore è quello rappresentato dai linfomi non Hodgkin aggressivi: in questo caso, nell’ambito dei linfomi diffusi a grandi cellule, che costituiscono l’entità più frequente, è possibile guarire circa il 40% dei pazienti, utilizzando come induzione la chemioterapia in combinazione con l’immunoterapia (rituximab). Ad oggi, in questo particolare istotipo, il regime di chemioterapia considerato il “gold standard” è il “CHOP”. Per i pazienti che ricadono, o che non ottengono una risposta completa post-induzione, le alte dosi con rescue di cellule staminali da sangue periferico rappresentano l’approccio terapeutico convenzionale. Attualmente, la terapia può risultare eradicante anche nel paziente “molto anziano” : negli ultimi anni, infatti, vengono trattati con l’intento curativo nel senso anglosassone della parola (anche i soggetti di età superiore agli 80 anni). Chiaramente, in questo determinato gruppo di pazienti, diventa importante ridurre la tossicità d’organo e soprattutto la cardiotossicità, che è una classica problematica, nel momento in cui si utilizza il regime chemioterapico CHOP (ciclofosfamide + doxorubicina + vincristina + prednisone), nel quale l’antraciclina è potenzialmente e decisamente cardiotossica. In questi pazienti “molto” anziani è stata testata anche la bendamustina (in combinazione con il rituximab) con ottimi risultati in termini di efficacia e con una contemporanea netta riduzione della tossicità extraematologica e, in particolare, un’assenza di quella cardiologica.
  • Infine, vi è il mondo dei linfomi non Hodgkin indolenti, tra cui l’entità anatomo-clinica più rilevante è il linfoma follicolare. Anche in questo tipo di linfoma, la terapia di prima linea di trattamento è rappresentata dalla combinazione chemioterapia ed immunoterapia (rituximab); per quanto riguarda la scelta del regime chemioterapico sono stati pubblicati diversi dati relativi ai classici regimi convenzionali quali la CHOP, il CVP (ciclofosfamide + vincristina + prednisone) e i regimi contenenti la fludarabina. Recentemente è stato pubblicato per esteso lo studio del gruppo tedesco (Rummel et al, Lancet 2013) che dimostra come la combinazione bendamustina e rituximab rispetto alla classica/convenzionale CHOP e rituximab sia più efficace, in termini di percentuale di risposta completa e di progressione libera da malattia, con un’evidenza statisticamente significativa nei diversi sottogruppi di fattori di rischio, e anche nelle differenti analisi in funzione dell’età (risulta maggiormente efficace sia nei pazienti giovani che nei pazienti anziani). Allo stesso modo, la tossicità extraematologica (alopecia, nausea/vomito, neuropatie periferiche) è nettamente inferiore nel gruppo di pazienti trattati con la combinazione bendamustina e rituximab».

Che cosa si può concludere, quindi, riguardo alla bendamusina?
«Tutto questi dati, riferiti alle diverse tipologie di linfomi, fanno ritenere che la bendamustina, pur essendo da etichettare come chemioterapico, in quest’ambito sia sicuramente un farmaco molto efficace in maniera trasversale, con un basso profilo di tossicità, soprattutto quella extraematologica, che rappresenta per il paziente un’importante nota dolente, sia dal punto di vista fisico, sia psicologico. Inoltre, questa sua peculiare caratteristica le consentirà di essere facilmente adattabile in associazione ai nuovi farmaci “intelligenti” che sono alle porte, poiché consente un’ottima combinazione in termini di efficacia senza una reale tossicità cumulativa».

AIL
L’AIL, Associazione Italiana contro le Leucemie, linfomi e mieloma, costituitasi a Roma nel 1969, è impegnata nella lotta contro le malattie del sangue, con 82 sezioni provinciali. Il ruolo fondamentale dell’AIL è l’attività svolta in simbiosi con i principali Centri di ematologia, sia universitari sia ospedalieri, a favore dei malati, per migliorarne la qualità della vita ed aiutarli nella lotta che conducono in prima persona contro la malattia. L’importanza dell’Associazione al servizio del mondo ematologico e del malato deriva dal duplice livello di presenza territoriale: nazionale e locale. A livello nazionale la visibilità dell’AIL sui principali organi di informazione, il lavoro svolto presso le più prestigiose sedi istituzionali, le iniziative su tutto il territorio, hanno determinato una grande attenzione alla lotta contro tali patologie. A livello locale, la diffusione capillare delle sezioni sul territorio di competenza, lo stretto rapporto instaurato con le strutture ospedaliere e universitarie e con le locali istituzioni, hanno reso l’AIL un punto di riferimento insostituibile per i malati ed i loro familiari. I Centri di ematologia in Italia, grazie anche all’AIL, operano a livelli uguali a quelli dei migliori del mondo e la ricerca scientifica ha permesso di raggiungere risultati straordinari. Sito Internet: www.ail.it

Indirizzi utili

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II
Via Sergio Pansini, 5 - 80131 Napoli

Oncoematologia
Prof. Fabrizio Pane
Tel. 081.7462037

ISTITUTO DI EMATOLOGIA “LORENZO E ARIOSTO SERÀGNOLI”
Via Massarenti, 9 - 40138 Bologna
Tel. 051.636.3680 – Fax 051.636.4037

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