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L’impatto dei trattamenti oncologici sulla qualità della vita dei pazienti

Stefania Bortolotti, N. 6/7 giugno/luglio 2013

Con oltre 2,3 milioni di persone con una diagnosi di malattia oncologica nella loro vita, il tumore è a tutti gli effetti una patologia sociale di massa dagli effetti prolungati e con impatto rilevante, in primis sulle persone che ne sono colpite, non solo per via delle manifestazioni della malattia, ma anche relativamente alle conseguenze dei trattamenti atti a contrastarla.

La recente indagine: “L’impatto dei trattamenti oncologici sulla qualità di vita dei pazienti” è stata promossa da Salute Donna onlus e la Società Italiana di Psico-Oncologia e realizzata da Codres per valutare in modo dettagliato l’impatto dei trattamenti antitumorali sulla qualità di vita dei pazienti e sulle loro attività quotidiane, la frequenza d’uso delle terapie di supporto e le modalità di comunicazione tra oncologi e pazienti su questi aspetti determinanti per una buona qualità del percorso terapeutico. Il quadro che emerge dalla voce dei pazienti è chiaro: i trattamenti per le malattie oncologiche producono un sensibile peggioramento della condizione di salute e della qualità di vita, già deteriorata dal tumore; gli effetti collaterali più devastanti sono nausea e vomito e la stragrande percentuale di pazienti riceve per tali sintomi terapie di supporto; tuttavia, una buona parte continua a lamentare tali effetti collaterali e ciò può essere correlato alla somministrazione di terapie di contrasto non aderenti alle “Linee Guida Internazionali”. Come è noto, le terapie oncologiche sono quasi sempre associate a sintomi quali nausea e vomito, “fatigue”, perdita di capelli, anoressia e depressione. Alcuni di questi possono perdurare anche per molto tempo dopo la fine del trattamento. Accanto alle reazioni del corpo alla potenziale tossicità dei trattamenti, la malattia oncologica influenza anche il modo di sentire, di pensare e di fare le cose: affrontarla significa per la maggioranza delle persone anche uno shock emotivo intenso che sollecita tutti gli aspetti della vita e provoca una serie di disturbi dell’umore e del comportamento – ansia, depressione, perdita del desiderio sessuale, confusione mentale ecc. – che finiscono per debilitare ulteriormente il paziente. Raggiungere un’efficace gestione degli effetti collaterali provocati dai trattamenti antitumorali nell’organismo e porre la dovuta attenzione alla dimensione psicologica della persona che li riceve sono dunque obiettivi strategici primari, il cui raggiungimento è in grado di produrre positive ricadute anche su familiari e caregivers. Gli 855 pazienti oncologici che hanno partecipato alla rilevazione compilando un questionario “face to face” hanno fornito un quadro informativo puntuale sugli effetti dei trattamenti, come l’impatto sulla loro qualità di vita e dunque sulle sfere più importanti del loro vissuto: affetti, sessualità, lavoro. La ricerca ha inoltre gettato luce sugli aspetti comunicativi della relazione medico-paziente, con particolare riferimento al grado d’informazione ricevuta dall’oncologo sia sugli effetti della malattia sia sulle terapie di supporto finalizzate a contrastarli.

Principali risultati della ricerca

Impatto delle terapie oncologiche sulla qualità di vita
Circa il 45% dei pazienti oggetto di analisi dichiara che la chemioterapia ha avuto un peso determinante sul livello della propria qualità della vita (per il 17,7% e per il 27,4% l’incidenza degli effetti collaterali indotti dalla chemioterapia sulla qualità della vita è stata rispettivamente molto elevata o elevata). Per circa il 30% del totale dei casi le ricadute della chemioterapia sono state abbastanza elevate, mentre per appena il 20% e per il 4% il grado di incidenza della chemioterapia sulla qualità della vita è stato poco elevato o non ha prodotto alcun effetto.

L’insieme dei sintomi nausea e vomito rappresentano il principale effetto collaterale della chemioterapia accusato dai pazienti ( 65,3% ). Seguono la “fatigue” (stanchezza, dolori alle gambe, difficoltà di respirazione, insonnia, difficoltà di concentrarsi, ansia, depressione ecc.) e le manifestazioni di alopecia, rispettivamente nel 45% e 35% dell’insieme dei pazienti presi in considerazione. Poco più del 20% ha accusato disturbi causati ad alterazione del gusto. Quote oscillanti ciascuna attorno al 10% del totale dei casi hanno sofferto di stipsi, diarrea e inappetenza.

Impatto sulle attività quotidiane e sulla vita affettiva e sessuale
La chemioterapia condiziona in modo rilevante la normale gestione delle attività domestiche ( 61,6% ), l’attività lavorativa ( 63,9% ) e la vita sessuale ( 63,7% ); rispetto a questa sfera vitale, solo il 6,3% dei medici curanti ha preso l’iniziativa di parlare spontaneamente con i propri pazienti; inoltre, il 45% delle persone in trattamento incontra difficoltà ad occuparsi dei propri figli con la dovuta attenzione e serenità. Circa il 35% del totale del campione afferma che la malattia ha comportato una lunga sospensione dell’attività sessuale; una quota di dimensioni analoghe non ha invece registrato alcun effetto negativo; quasi il 30% dei pazienti ha visto alterata la propria vita sessuale esclusivamente nei periodi in cui si è sottoposto a trattamenti chemioterapici. Per circa i 2/3 del totale di casi la malattia ha costituito un fattore di turbamento della regolare attività sessuale.

La comunicazione con gli oncologi
Per circa il 40% dei casi analizzati le modalità con cui vengono fornite le informazioni sono risultate molto adeguate, in quanto sono riuscite a illustrare i problemi e le possibili soluzioni, svolgendo nel medesimo tempo opera di sostegno sul piano personale e psicologico. Quasi il 50% ritiene che gli oncologi abbiano fornito informazioni adeguate, dando anche consigli utili ai pazienti. Solo circa il 10% si è dichiarato insoddisfatto per l’inadeguatezza delle informazioni ricevute. Rispetto agli effetti collaterali, nausea e vomito (rispettivamente 65,6% e 51% ) sono le tipologie di sintomi maggiormente descritte dagli oncologi, le cui modalità di comunicazione sono state valutate adeguate o molto adeguate dall’ 88,7% del campione.

Le terapie di supporto
Nella grande maggioranza dei casi (il 91,8% del totale) gli oncologi hanno prescritto ai pazienti terapie di supporto per ridurre alcuni degli effetti collaterali più frequenti della chemioterapia, cioè nausea e vomito (grafico 5). Le propensioni più accentuate verso la prescrizione di terapie di contrasto agli effetti indotti dalla chemioterapia paiono registrarsi nella cura dei pazienti più giovani. Le terapie di supporto vengono previste in tutti i cicli della chemioterapia nel 50% circa dei casi e nel 32% vengono utilizzate solo per alcuni cicli. Una quota pari a circa il 15% del totale, infine, non ha mai seguito terapie di supporto.

L’informazione sugli aspetti sessuali
Per contenere l’impatto che la chemioterapia può esercitare sulla vita sessuale è necessario che i pazienti siano adeguatamente informati prima dell’inizio del trattamento: da questo punto di vista risulta ancora una volta di primaria importanza il ruolo assunto dagli oncologi nello svolgere un’attività collaterale di informazione e sostegno su temi estremamente delicati, in grado di incidere profondamente sullo stato d’animo e sulla qualità della vita dei malati. Dai risultati dell’indagine emerge che solo nel 20% dei casi circa è stato affrontato l’argomento, mentre quattro pazienti su cinque non ha ricevuto informazioni sul possibile impatto della chemioterapia sulla vita sessuale.

Conclusioni
Da questi risultati è possibile trarre una serie di riflessioni e indicazioni specifiche. Il controllo della nausea e del vomito, insieme a quello del dolore, è stato uno degli obiettivi principali degli oncologi negli ultimi 20 anni e i notevoli progressi registrati nelle terapie farmacologiche a disposizione, codificate dalle Linee guida nazionali e internazionali, hanno consentito un notevole miglioramento del controllo di questi sintomi e, conseguentemente, della qualità della vita dei pazienti oncologici. Tuttavia, la ricerca evidenzia che, a fronte di più del 90% di pazienti cui viene prescritto una terapia di supporto, più del 65% continua a soffrire di nausea e vomito, i sintomi che, come abbiamo visto, nel loro complesso sono percepiti come i più disabilitanti in assoluto. Ciò lascia pensare che non sempre siano prescritti i farmaci antiemetici indicati dalle specifiche Linee guida. I risultati di un recentissimo studio prospettico (PEER, Pan European Emesis Registry) che ha dimostrato che le terapie di contrasto dell’emesi aderenti alle Linee guida hanno un’efficacia superiore rispetto a quelle non aderenti, sembrano essere coerenti con questa interpretazione.

Combattere il cancro? Insieme si può. Un racconto che invita a non mollare mai
“Mamma ha il cancro ma fa la marmellata”, è il nuovo libro della scrittrice esordiente Silvana Feola, pubblicato dalla casa editrice Montedit e uscito nel settembre del 2012. È il tenero racconto di una figlia che combatte insieme alla sua famiglia la battaglia della mamma, afflitta da un tumore al seno. Perché “...il cancro non è solo di chi ce l’ha, ma anche di chi gli vive accanto”. Non è un racconto di eroi ed eroine, ma la storia semplice di una donna comune alla quale viene diagnosticato un cancro al seno e della sua voglia di reagire a smarrimento e preoccupazioni con ottimismo e determinazione. È la storia della sua famiglia che cade insieme a lei nel gorgo della paura ma poi riemerge con caparbietà e combatte al suo fianco nella consapevolezza che restando uniti ci si sente più forti. La novità di questo libro è che la vicenda non è narrata dalla paziente o da un medico che la cura, ma dalla figlia, una donna talmente in simbiosi con sua madre, da pensare che quel giorno è come se il cancro sia venuto anche a lei, e che si aggrappa a stravaganti contorsioni mentali e buffi stratagemmi per liberare entrambe dalla melma dell’avvilimento e camminare sorridendo lungo la via della sopravvivenza. Ecco perché il libro è rivolto anche a quell’esercito silenzioso di figli, genitori, fratelli e sorelle, che lottano insieme ai loro famigliari, vivendo le stesse paure, affrontando le stesse battaglie, nutrendosi delle stesse speranze. Non è la tipica storia di cancro, in cui sofferenza e disperazione si annidano tra esami istologici e chemioterapia. È soprattutto una testimonianza di forza e coraggio in cui l’amaro si perde nel dolce e il duro si ammorbidisce nel tenero. Una vicenda in cui il drammatico a tratti diventa comico, perché si comprende presto che solo l’ironia può aiutare ad affrontare serenamente una prova così difficile come la malattia.

Perché leggere questo libro?

  1. Per comprendere che chi ha il cancro non è un morto che cammina, ma un malato che sopravvive, per tornare a vivere. Non è detto che un tumore sia l’inizio della fine, ma può essere semplicemente un nuovo inizio, che se per tutti comincia male, per molti può anche finire bene. Bisogna lavorare non solo sul corpo e le sue ferite, ma anche sull’anima e le sue piaghe. E ciò che conta davvero non è il numero di anni in più che si riescono a guadagnare, ma il modo in cui si riescono a vivere, trasformando un momento di sconforto in un’occasione di rinascita.
  2. Per confidare in una sanità veramente “sana”, perché anche negli ambienti ospedalieri, fra una seduta di chemio e una visita di controllo, fra le corsie dei reparti o tra i trespoli delle flebo, è possibile trovare sorrisi e umanità.
  3. Per la prevenzione. Perché in certi casi è la più efficace arma per sopravvivere. In certi casi, è la sola arma.

Silvana Feola
Scrittrice esordiente autrice del libro “Mamma ha il cancro ma fa la marmellata”

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