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Fukushima e Oms

Cristina Mazzantini, N. 6/7 giugno/luglio 2013

Dopo poco più di anno noi di Prevenzione-Tumori torniamo a parlare del disastro nucleare di Fukushima. A spingerci a farlo è senza dubbio il “discutibile” rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sugli effetti radioattivi sulla salute della popolazione giapponese. I primi a prendere le distanze dal documento di 166 pagine, presentato recentemente a Ginevra, sono stati gli attivisti di Greenpeace. Dobbiamo dire che le critiche aspre mosse dagli ambientalisti possono essere condivisibili e troveranno moltissimi sostenitori Cerchiamo di fare un pò di chiarezza. Dopo allarmi e smentite fioccati subito dopo l’incidente e il terremoto del 2011 in Giappone, secondo cui i livelli di radioattività non avrebbero provocato gravi danni alla salute, è arrivata invece la conferma che per gli abitanti delle aree più contaminate, site vicino l’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, c’è un maggior rischio di tumore, che per la tiroide può arrivare fino al 70% in più per donne e bambini. A dirlo è un rapporto appena pubblicato dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Secondo la valutazione il rischio riguarderebbe solo il Giappone e in particolare alcune fasce di popolazione che vivono nelle aree più interessate dall’incidente. Si stima che l’aumento del rischio di tumori per la tiroide, rispetto a quello normalmente previsto, possa arrivare fino al 70% in più per donne e bambini esposti, del 4% per i tumori solidi, del 6% per quello al seno in donne e bambini, e del 7% per la leucemia, 7% in uomini e infanti. Per la popolazione generale, dentro e fuori il Giappone quindi, secondo l’Oms, i rischi stimati sono bassi e non sono previsti aumenti osservabili delle percentuali di cancro. «Fuori dalle aree più contaminate, anche dentro la prefettura di Fukushima», ha spiegato Maria Neira, direttore Oms per l’area salute pubblica e ambiente, «non sono previsti aumenti osservabili dell’incidenza del tasso di cancro». Il rapporto dedica una sezione anche agli operatori d’emergenza e pronto intervento che hanno lavorato dentro l’impianto nucleare di Fukushima quando c’è stata la fuoriuscita di materiale radioattivo, e spiega che per circa due terzi di loro il rischio stimato di avere il cancro è in linea con quello della popolazione generale, mentre per un terzo si prevede un aumento. Non si prevede invece che le radiazioni possano causare un aumento degli aborti spontanei, dei bambini nati morti o altre condizioni fisiche e mentali che possano colpire i bambini venuti al mondo dopo l’incidente. «Andranno monitorate, nel lungo periodo», ha proseguito la dottoressa Neira, «le persone ad alto rischio, rinforzando i servizi e l’assistenza medica». Inoltre, ha sottolineato sempre l’esperta «andranno controllate in modo continuo le forniture di cibo e acqua, così come l’impatto psicosociale sulla popolazione. Ma secondo associazioni come Greenpeace il rapporto sottostima l’impatto delle radiazioni, ed è una dichiarazione politica per proteggere l’industria nucleare e non la salute delle persone». Le spiegazioni della dottoressa Neira non hanno soddisfatto gli ambientalisti. Tanto da far dichiarare al dottor Rianne Teule, esperto di radiazioni nucleari di Greenpeace International: «Il rapporto dell’Oms minimizza spudoratamente l’impatto delle prime emissioni radioattive del disastro di Fukushima sulle persone all’interno della zona di evacuazione di 20 chilometri, che non sono state in grado di lasciare la zona in fretta»; ha precisato il rappresentante di Greenpeace: «L’Oms avrebbe dovuto stimare l’esposizione alle radiazioni di queste persone per dare un quadro più preciso dei potenziali impatti a lungo termine di Fukushima». L’accusa di Greenpeace è pesante, perché secondo l’associazione lo studio ha chiaramente l’obiettivo politico di tutelare l’industria nucleare e non offre un’analisi scientifica sulla salute delle persone. «Il rapporto cerca scandalosamente di minimizzare la probabilità che migliaia di persone siano a rischio di cancro dopo il disastro di Fukushima», ha proseguito sempre Teule. «Nasconde l’impatto sanitario presentandolo come “piccoli aumenti percentuali dell’insorgenza di tumori”: quelle piccole percentuali si traducono in migliaia di persone che sono a rischio». Greenpeace osserva che l’Oms rilascia relazioni sull’impatto delle emissioni radioattive sulla popolazione solo con l’approvazione dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) e al contempo vengono trascurate indicazioni importanti come quelle fornite dell’esperto nucleare tedesco Oda Becker secondo il quale le persone all’interno della zona di evacuazione sono state esposte probabilmente a dosi di radiazioni significative di centinaia di millisievert. Lo scienziato tedesco è arrivato a queste conclusioni utilizzando una modellistica basata sui dati delle emissioni radioattive fornite dal gestore dell’impianto, Tepco, per calcolare le dosi potenziali per le persone 10, 15, 20 e 40 chilometri dai reattori.

Per commentare le tesi dell’Oms e di Greenpeace abbiamo interpellato il professor Piernicola Garofalo, presidente della Società Italiana Medicina dell’Adolescenza (SIMA) e responsabile dell’Unità Operativa di Endocrinologia dell’Età evolutiva presso l’Azienda Ospedaliera “Vincenzo Cervello” di Palermo, già ascoltato l’anno scorso sul problema Fukushima.

Professor Garofalo che ne pensa delle critiche mosse da Greenpeace all’OMS?
«Gli ambientalisti ne fanno una questione meramente politica. E io non vorrei entrare in merito. Io valuto la faccenda sotto l’aspetto medico che è quello che mi compete», ha risposto il nostro endocrinologo. Precisando che «È ancora troppo presto per fare un bilancio sull’incidenza di tumori nei giapponesi che sono stati esposti alle radiazioni nucleari», ha proseguito il nostro esperto. «Secondo i dati di Cernobyl, ci dovremmo attendere nei prossimi decenni (20-30 anni) un aumento esponenziale neoplasie ossee e polmonari e specialmente tumori tiroidei».

Perchè sarà colpita la tiroide?
«Sappiamo che l’unica ghiandola endocrina che corre il rischio di ammalarsi in seguito alla contaminazione da sostanze radioattive è la tiroide. Prendiamo come esempio quanto accaduto a Fukushima: tra le sostanze radioattive, disperse nell’ambiente in seguito al danno del reattore nipponico, c’era lo Iodio-131. Lo iodio si accumula nella tiroide e vi rimane per alcuni giorni», ha spiegato il professor Garofalo. «La tiroide, però, non è in grado di distinguere lo Iodio radioattivo (131I) dallo iodio normale, non radioattivo. In presenza di elevate concentrazioni di 131I nei liquidi o nei cibi, questo si accumula nella tiroide e irradia le cellule di questa ghiandola. L’irraggiamento della tiroide da parte dello 131I non necessariamente dà luogo a un danno clinicamente rilevante. Lo 131I è impiegato normalmente in diagnostica per lo studio della funzione tiroidea e non provoca alcun danno a bassi dosi somministrate. Il nostro organismo, infatti, è dotato da sempre di sistemi per la riparazione dei danni indotti da basse dosi di radiazioni, a cui siamo costantemente esposti per la presenza di elementi radioattivi nel terreno e, attraverso l’atmosfera, con le radiazioni cosmiche».

Esistono categorie a rischio?
«In caso di radiazioni, le categorie maggiormente a rischio sono le donne in gravidanza e i bambini di età inferiore ai 10 anni. Per quanto riguarda le donne in stato di gravidanza, il vero rischio è a carico del feto, particolarmente sensibile agli effetti nocivi delle radiazioni».

Quando accade un incidente nucleare è possibile evitare o ridurre i danni da esposizione?
«Direi di sì. Dovrebbero essere messe in atto tutte le misure anti-radiazioni. E per quanto riguarda il tumore alla tiroide dev’essere attivata immediatamente (preferibilmente entro le 24 ore e non oltre le 72 dall’esposizione) una profilassi chemioterapica. Ovvero bisogna dare le tavolette di ioduro di potassio a tutti coloro che vivono o lavorano entro la zona rossa, privilegiando i bambini e le donne gravide. Ed eventualmente fornire il medicinale anche a bambini e gravide che vivono oltre le 50 miglia ma entro le 100. Lo ioduro di potassio, se somministrato precocemente, è in grado di schermare la tiroide impedendo allo Iodio-131 di stazionare della ghiandola e quindi di fare danni perché è espulso tramite le urine e le feci».

Se bisogna attendere degli anni per vedere quello che accadrà che cosa bisogna fare nel frattempo?
«È bene che i soggetti a rischio, ovvero d’età inferiore ai 10 anni al tempo del disastro, siano tenuti sottocontrollo medico e sottoposti annualmente a un’ecografia della tiroide. Così da diagnosticare il tumore in fase precoce e curarlo in maniera definitiva», ha concluso il nostro endocrinologo.

Un pò di cronistoria
Dal 1945 ci sono state più di 2.400 esplosioni, di un impatto, in alcuni casi, diverse migliaia di volte superiore a quello della bomba di Hiroshima: questo va ad aggiungersi ai numerosi “fallimenti” e alle decine di incidenti catastrofici, a partire, per quel che ne sappiamo, dall’autunno del 1957 a Windscale (Gran Bretagna) e a Mayak (ex Unione Sovietica), classificati rispettivamente ai livelli 5 e 6 della scala INES. Ma chi può dire con precisione quale sarà l’impatto di tutti questi incidenti? Poiché nessuna indagine epidemiologica degna di questo nome è stata mai avviata a livello internazionale per analizzare questo problema, i membri del partito dei Verdi al Parlamento Europeo hanno richiesto all’European Committee on the Risks of Irradiation (CERI)2 di effettuare degli studi su questo impatto, ed i risultati hanno confermato le gravi conseguenze che l’attività atomica ha avuto nel corso degli ultimi 65 anni sulla popolazione in tutto il mondo, risultati che non sono una sorpresa poiché sappiamo che le tracce di queste attività sono state individuate anche nei ghiacciai del Polo Sud. La posta in gioco è talmente grande, che gli effetti patologici delle contaminazioni da basse dosi di radiazioni, nel corso del tempo, sono stati aspramente negati congiuntamente da tutti i Paesi e da tutte le organizzazioni internazionali.

Chernobyl: irradiazione e contaminazione multipla con “rimbalzi”
Il 26 aprile 1986 è una data storica per tutta l’umanità, proprio come il 6 agosto 1945. Quando è esploso, il reattore N° 4 della centrale Lenin di Cernobyl non ha rigettato solo gas e vari vapori prodotti dalla disintegrazione del combustibile nucleare, in un modo simile ad una bomba, ma ha rilasciato anche “solide particelle calde” di combustibile: queste sono frammenti di tutte le dimensioni che, combinati con altri radionuclidi, sono ricaduti sul suolo nelle vicinanze dell’impianto. Successivamente, con le piogge, si sono formate nel suolo anche delle particelle liquide calde. Quando queste particelle entrano nel corpo attraverso acqua e cibo ingerito o aria inalata, producono, anche molto tempo dopo la loro emissione, alte dosi di irradiazione interna localizzata. Questa osservazione è importante per capire gli effetti postumi e le conseguenze dell’incidente. Dal giorno del disastro, l’irradiazione ha ceduto il passo progressivamente a vari tipi di contaminazione a lungo termine e la situazione radiologica si sta sviluppando in un modo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Due esempi:

  1. Dopo il processo di decadimento del plutonio 241, la formazione naturale di americio 241, un potente veicolo di trasmissione di raggi gamma, diventa un aspetto importante della contaminazione di molti luoghi. A causa di questa graduale disintegrazione, le aree che avevano ridotto il loro livello di radiazioni gamma diventano di nuovo pericolose.
  2. In aggiunta vi è stata una vasta redistribuzione di radionuclidi all’interno degli ecosistemi a causa della loro concentrazione di organismi viventi (bio-accumulazione) e la loro migrazione, dopo alcuni anni, in alcune parti del suolo dove penetrano le radici: questi radionuclidi in seguito divennero sempre più accessibili alle piante, attirandoli per una seconda volta sulla superficie del suolo. Questa è una delle cause dell’espansione e dell’aggravarsi della morbilità e della mortalità nelle aree contaminate.

Fukushima un nuovo studio ridimensiona la contaminazione
Recentemente si è discusso di dati preoccupanti rilevati dal Ministero della Sanità giapponese in merito alla centrale nucleare di Fukushima, i quali dimostrerebbero ancora una volta che il disastro nucleare di Fukushima, verificatosi a seguito del violento terremoto dell’11 Marzo 2011, è tutt’altro che finito. Non la pensa evidentemente in questo modo uno studio universitario pubblicato nella nazione del Sol Levante, il quale sostiene che l’esposizione alle radiazioni degli abitanti di Fukushima dovuta al consumo di alimenti contenenti cesio radioattivo si sta rivelando più debole del previsto. Dopo aver esaminato circa 33.000 persone per oltre un anno, fra ottobre 2011 e novembre 2012, un’équipe dell’Università di Tokyo ha individuato del cesio 137 o 134 solamente sull’ 1% degli individui testati. I ricercatori, che hanno utilizzato speciali strumenti in grado di individuare la presenza di radiazioni all’interno del corpo umano, affermano inoltre che in nessuno dei 10.237 bambini di una scuola primaria della regione sono emerse tracce di cesio radioattivo. I risultati sono, secondo loro, migliori del previsto tenuto conto delle stime effettuate sulla base del precedente che fu il disastro di Chernobyl in Ucraina nel 1986. «Lo studio mostra che il livello di esposizione alle radiazioni dovuto agli alimenti è estremamente basso», insiste l’équipe del professor Ryugo Hayano. Ciò si spiegherebbe con l’efficacia dei controlli effettuati per escludere dalla catena alimentare i prodotti contaminati. I ricercatori ritengono tuttavia che la sorveglianza alimentare deve continuare insieme ai controlli sulle persone, poiché se la radioattività del cesio 134 può scomparire in due anni, quella del cesio 137 può rimanere nell’ambiente per 30 anni.

Le conseguenze di Chernobyl sulla salute pubblica
Riassumendo brevemente i dati pubblicati nel rapporto CERR, la contaminazione radioattiva di Chernobyl ha colpito quasi 400 milioni di persone (205 milioni in Europa e circa 200 milioni al di fuori dell’Europa). L’analisi della curva di morbilità generale tra i bambini che vivono nelle zone contaminate dell’ex Unione Sovietica è particolarmente dolorosa: solo il 20% di loro sono sani. In alcune zone della Polesia non ci sono più bambini sani. In Germania, i denti dei bambini nati dopo la catastrofe contenevano una quantità di stronzio 90 di 10 volte superiore alla norma (analogamente al plutonio presente nei denti da latte dei bambini inglesi che vivono vicino Windscale – da allora ribattezzata Sellafield – 53 anni dopo un altra catastrofe nucleare. Il numero delle vittime di Chernobyl continuerà a crescere per diverse generazioni. Durante i primi 15 anni successivi al disastro il numero può essere stimato come segue: in Bielorussia, Ucraina, Russia Europea di 237.000 persone. Nel resto d’Europa 425.000, in Asia, Africa, Nord America di 323.000. Per un totale nel Mondo di 985.000 soggetti contaminati

Fukushima, una replica di Chernobyl?
È una domanda che circola mondo scientifico. In Giappone, vista la loro condizione, è evidente che i sistemi di raffreddamento non saranno più in grado di tornare a funzionare. Mentre viene introdotta dell’acqua borata, così come l’azoto, per rendere inerte l’atmosfera negli edifici, una grande quantità di acqua viene versata ogni giorno per raffreddare in modo da impedire al corion la perforazione del contenimento esterno, raggiungendo così queste stesse acque, il che potrebbe essere catastrofico. E non si tratta soltanto di uno, sono quattro i reattori colpiti, compreso il N°3 che operava con il MOX fornito dalla Francia. Senza contare le conseguenze delle scosse sismiche, la cui possibilità purtroppo non può essere esclusa, data l’ubicazione dell’impianto. In queste condizioni, chi è in grado di prevedere i possibili effetti cumulativi di questo tipo di situazione, sia in Giappone che altrove? In realtà le misure che sono state applicate con successo a Chernobyl per scongiurare una catastrofe su scala planetaria è improbabile che siano sempre realizzabili in qualsiasi altro luogo ancora, tranne forse, ancora per qualche tempo, in Cina. Nell’ex Unione Sovietica, è stato possibile reclutare 800.000 “liquidatori” nonché i servizi di emergenza di un intero e vasto Paese, centinaia di vigili del fuoco, decine di migliaia di minatori, un esercito ancora potente con decine di migliaia di riservisti, tutto questo semplicemente per ordine del Segretario del Politburo. Il dispiegamento di mezzi così giganteschi non sarà più possibile in altri casi simili, ed è dubbio che basterebbe fare appello ad altri Paesi: in una democrazia liberale ci saranno pochi volontari a sacrificare la loro vita e sperimentare un certo grado di dolore, noto per essere orrendo. La prospettiva di dover sopravvivere nelle zone contaminate non può essere esclusa. Nei territori contaminati dal fallout di Chernobyl è pericolosa la pratica agricola, pericoloso a vagare nei boschi, pericoloso andare a pesca e a caccia, pericoloso mangiare alimenti prodotti localmente senza controllare il loro livello di radioattività, pericoloso bere latte e persino acqua.

Fukushima 50
Sono stati soprannominati i Fukushima 50, anche se sono stati almeno una settantina. Sono gli operai della Tepco (l’azienda che gestisce la centrale di Fukushima Daiichi) che sono rimasti al loro posto nei giorni immediatamente conseguenti allo tsunami a lavorare per evitare il meltdown dei reattori e cercare di mettere in sicurezza gli impianti nucleari. La stampa internazionale li ha etichettati come kamikaze, suicidi, eroi, i giapponesi li disprezzano, e loro si sentono responsabili del disastro nucleare e finora erano rimasti in silenzio. Solo dopo il ringraziamento ufficiale da parte del governo giapponese, lo scorso ottobre, qualcuno ha cominciato a raccontare la sua storia, caratterizzata sempre dal senso di colpa. Come quello che colpisce Atsufumi Yoshizawa, ingegnere della Tepco, uno degli uomini rimasti nella centrale. Sapendo moglie e figlia al sicuro a Yokohama, aveva in testa solo due cose, spiega all’Independent: «La sicurezza dei miei lavoratori e la completa disattivazione della centrale ». E con lui altre decine di operai condividevano queste priorità. «Può sembrare strano da fuori, ma è naturale per noi mettere l’azienda al primo posto, non abbiamo mai pensato di abbandonare il nostro posto». Nelle settimane successive, racconta, lui e questi uomini hanno lavorato in condizioni disperate, esponendosi alle radiazioni, ai rischi di crolli e gestendo la situazione fino a quando i vigili del fuoco non sono riusciti a raffreddare nuovamente i reattori. Molti di questi operai tuttavia continuano a rimanere in silenzio e possibilmente nell’anonimato: non c’è gratitudine da parte dei giapponesi per loro. Molti sono ancora sul libro paga di una delle aziende più odiate del Paese, con la quale sono identificati e con la quale si identificano, e per questo motivo sono vittime di ritorsioni e discriminazioni: diversi per esempio, si sono visti rifiutare appartamenti in affitto.

Indirizzi utili

AZIENDA OSPEDALIERA VINCENZO CERVELLO VILLA SOFIA CTO
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Dott. Giuseppe Ferrara
Prenotazioni/informazioni: 091.9802750 – Centralino: 091.6802111
www.ospedaliriunitipalermo.it

Endocrinologia
Prof. Piernicola Garofalo
Tel. 091.6802668

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