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Tumore del pancreas, dalla ricerca nanotecnologica una nuova arma per il futuro dei pazienti

Stefania Bortolotti, N. 5 maggio 2013

Finalmente, un passo avanti per la terapia di questo tumore non operabile, uno tra i “Big Killer” a livello nazionale e internazionale, sinonimo di mancanza di speranza e cure adeguate.

Tumore del pancreas
Una tra le patologie tumorali più gravi, di cui si parla poco fuori dai settori specialistici e che lascia, sia nel paziente, sia nel medico, una sensazione di forte impotenza. Sentimento, purtroppo, confermato dai numeri. È uno dei 5 tumori “Big Killer”, con un’incidenza e un tasso di mortalità quasi coincidenti. Infatti, la maggior parte dei pazienti, non sopravvive ai primi mesi dalla diagnosi e, dopo 5 anni, la mortalità si attesta al 95%. In Italia, il carcinoma del pancreas, rappresenta il 3% dei tumori totali ma, con il 7% all’anno di decessi, si attesta come la quarta causa di morte dopo i 50 anni nell’ambito delle patologie oncologiche. Questi numeri sono solo un primo passo per capire questa patologia. Il tumore del pancreas è silenzioso, con uno sviluppo spesso rapido e aggressivo, e particolarmente resistente ai farmaci. Quasi asintomatico al suo esordio, si manifesta solo quando, crescendo, le cellule tumorali invadono gli altri organi, quali stomaco e intestino, compromettendone la funzionalità. Il paziente e i suoi familiari si trovano, quindi, ad affrontare uno stadio avanzato della malattia, senza prospettive di cura efficaci, e con gravissime conseguenze immediate, fisiche e psicologiche. «La diagnosi di tumore del pancreas – dichiara il Salvatore Siena, Direttore della Divisione di Oncologia Falck, Dipartimento Oncologico, Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano – significa, per noi oncologi, comunicare al paziente e ai suoi familiari una tra le prognosi più infauste. Nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte ad uno stadio del tumore che ha raggiunto livelli molto difficili da contrastare: questo si traduce in una probabilità di sopravvivenza che si calcola, generalmente, nell’arco di mesi, cui si aggiunge il carico dato dalla miriade di sintomi provocati dall’estensione della neoplasia ad altri organi. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, sono particolarmente resistenti ai farmaci, che non riescono a bloccarne lo sviluppo, ma solo a rallentarne in modo estremamente limitato la crescita». Questo scenario dà la misura della rilevanza della sperimentazione denominata MPACT (Metastatic Pancreatic Adenocarcinoma Trial), uno studio clinico di fase III in pazienti affetti da adenocarcinoma metastatico in stadio avanzato non operabile. I risultati sono stati presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology – GastroIntestinal (ASCO GI) 2013, tenutosi a San Francisco alla fine gennaio scorso. La sperimentazione MPACT ha valutato l’efficacia dell’associazione di Nab paclitaxel (paclitaxel legato all’albumina in nano particelle) con gemcitabina, evidenziando un aumento del 59% nella sopravvivenza a un anno e un tasso di sopravvivenza raddoppiato a due anni ( 9% vs. 4% ). «Questo studio è importante – spiega Michele Reni, Coordinatore Area Attività Scientifica, U.O. Oncologia Medica, IRCCS San Raffaele di Milano – perché riguarda l’adenocarcinoma, che rappresenta il 95% dei casi di tumore al pancreas, sia perché, dopo aver assistito negli ultimi 15 anni ad una lunga serie di sperimentazioni negative, finalmente abbiamo un nuovo farmaco su cui contare per il trattamento dei pazienti affetti da questo tumore. La somministrazione dell’associazione Nab paclitaxel e gemcitabina non solo ha dimostrato di poter aumentare la sopravvivenza e il tempo libero da progressione, ma anche di poter ottenere questo risultato con una tossicità accettabile e, attraverso la presenza del Nab paclitaxel, di aggredire, in particolare, il tessuto tumorale, piuttosto che i tessuti sani». Il successo di questa associazione è, infatti, dovuto alla presenza del paclitaxel racchiuso in un guscio di albumina in nano particelle (Nab). Le nanoparticelle di paclitaxel e albumina sono infatti compatibili con una componente fondamentale del sangue, l’albumina, e ne mimano la funzione. Questo permette da una parte alle molecole di paclitaxel di uscire dal flusso sanguigno con maggiore facilità, e di raggiungere le cellule tumorali in concentrazione maggiore, dall’altra di penetrare più facilmente all’interno delle cellule tumorali, aumentando la potenza del farmaco. Inoltre Nab paclitaxel non necessita di solventi, che sono causa di molti degli effetti collaterali di altri farmaci anti-tumorali. «L’uso della nanotecnologia nel farmaco Nab paclitaxel – afferma i Giampaolo Tortora, Direttore U. O. C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona – sfrutta i meccanismi utilizzati dalle cellule tumorali per nutrirsi, e per agire contro il tumore. L’albumina entra nelle cellule tumorali legandosi ad una proteina chiamata SPARC (Proteina Acidica Secreta e Ricca in Cisteina). Il Nab paclitaxel, essendo legato all’albumina, sfrutta il legame di quest’ultima con SPARC per far entrare, subdolamente, nella cellula tumorale il paclitaxel che, una volta rilasciato, aggredisce le cellule neoplastiche. Quindi, il Nab paclitaxel agisce come un cavallo di Troia, utilizzando e ingannando i processi vitali delle cellule tumorali». MPACT è uno studio di fase III promosso da Celgene Corporation, un’azienda biofarmaceutica globale fondata nel 1986, che ha scelto come missione di migliorare la salute dei pazienti in tutto il mondo, cercando di studiare farmaci realmente innovativi per le neoplasie del sangue, i tumori solidi, le patologie infiammatorie più severe. «Il nostro impegno giorno dopo giorno – precisa Pasquale Frega, Amministratore Delegato di Celgene Italia – è trovare soluzioni in grado di cambiare la qualità della vita dei pazienti che soffrono delle patologie più gravi. Negli ultimi cinque anni abbiamo investito il 28% del nostro fatturato in Ricerca & Sviluppo: questo dato è una dimostrazione chiara del nostro impegno, così come la storia recente dei farmaci che abbiamo lanciato». Forti di questi risultati, il prossimo passo che potrebbe essere utile sarà lo studio dell’associazione Nab paclitaxel con gemcitabina in pazienti a uno stadio meno avanzato del tumore pancreatico. «Oggi, abbiamo confermato che questo farmaco funziona – afferma Michele Reni – in pazienti ad uno stadio della malattia particolarmente avanzato. Il prossimo passo sarà, quindi, quello di verificarne l’efficacia in chi si trova a uno stadio più precoce nella speranza che, contrastando la malattia quando è meno sviluppata, i risultati in termini di sopravvivenza siano ancora migliori. Ma non solo: potremo studiare anche altre associazioni di farmaci basate sul Nab paclitaxel, che potrebbero dare risultati ancora più promettenti».

Carcinoma pancreatico
Spesso questo tumore non è diagnosticabile fino a quando non è a uno stadio avanzato. Per i pazienti con malattia avanzata, la prognosi è sfavorevole e i tassi di sopravvivenza sono molto bassi: il 98% dei pazienti con malattia metastatica morirà entro cinque anni dalla diagnosi. Questi pazienti in particolare necessitano di opzioni terapeutiche nuove e migliori.

Quali le novità?
Molti studi clinici stanno valutando nuove combinazioni chemioterapiche per il trattamento dell’adenocarcinoma pancreatico, mentre altri studi stanno sperimentando le migliori combinazioni della chemioterapia con la radioterapia o le terapie target che interferiscono con la capacità delle cellule tumorali di svilupparsi, crescere e diffondersi. Un nuovo approccio è costituito dalla deplezione dello stroma, una massa densa e scarsamente vascolarizzata che circonda le cellule tumorali nei tumori pancreatici. Alcuni studi suggeriscono che lo stroma insolitamente resistente dei tumori pancreatici potrebbe essere pressoché impenetrabile ai farmaci chemioterapici e impedire al sistema immunitario di attaccare il tumore. Gli sforzi dei ricercatori sono volti ad individuare sistemi di somministrazione più mirati ed efficaci, in grado di “guidare” i farmaci antitumorali direttamente al “cuore” del tumore, aumentandone l’efficacia e rendendone i profili di tossicità più tollerabili. Sono attualmente allo studio oltre 50 trattamenti per tumore pancreatico, ma meno di una decina vengono valutati nell’ambito di studi clinici di Fase III.

Cause e fattori di rischio dell’adenocarcinoma pancreatico
Il rischio di ammalarsi di adenocarcinoma pancreatico è circa doppio nei fumatori rispetto ai non fumatori. Tra gli altri fattori di rischio vanno citati:

  • storia familiare di carcinoma pancreatico
  • storia personale di pancreatite, diabete o obesità
  • alcune sindromi genetiche, tra cui la sindrome di Lynch, una mutazione genetica ereditaria associata più frequentemente a un rischio elevato di tumore al colon, ma che può precedere anche il carcinoma pancreatico.

Il carcinoma pancreatico in cifre
Il carcinoma pancreatico è al decimo posto nell’elenco dei tumori più frequenti e l’ottava causa di morte per tumore nel mondo. Negli Stati Uniti il carcinoma pancreatico è la quarta causa di morte per tumore e si prevede che possa diventare la seconda causa di morte per tumore entro il 2020. Oltre la metà vengono diagnosticati quando la malattia è già metastatica e per questi pazienti la sopravvivenza stimata a cinque anni è solo del 2%. Il 99% dei pazienti ai quali è stato diagnosticato un carcinoma pancreatico muore a causa della malattia, la maggior parte di essi entro un anno dalla diagnosi. L’aspettativa media di vita, dopo la diagnosi di malattia metastatica, è di soli tre/sei mesi. Oltre l’ 80% dei casi di carcinoma pancreatico, vengono diagnosticati tra i 60 e gli 80 anni di età. L’adenocarcinoma, il sottotipo di carcinoma pancreatico con prevalenza e mortalità più elevate, rappresenta il 90% dei tumori pancreatici.

Indirizzi utili

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE NIGUARDA CÀ GRANDA
Piazza Ospedale Maggiore, 3 20162 Milano
Prenotazioni/informazioni: 02.64442777 Centralino: 02.64441
www.ospedaleniguarda.it

Oncologia medica
Prof. Salvatore Siena
Tel. 02.64442291

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