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Come cambierà la sanità italiana
Monica Melotti, N. 4 aprile 2013
La “spending review” ha sicuramente messo in difficoltà molti settori e la sanità non ne è immune. Il decreto voluto dal ministro della Sanità, Renato Balduzzi, è divenuto legge il novembre scorso, ma la grande rivoluzione non c’è stata, mancano all’appello più di 20 decreti attuativi, su cui si stanno dando battaglia Regioni e Governo. Alcuni di questi sono già scaduti (dovevano essere già varati entro il 2012), e la maggior parte dovrebbe essere approvata entro la prima metà del 2013, ma con il nuovo Governo appena eletto, potrebbero esserci ulteriori cambiamenti. Le Regioni sostengono di non aver ricevuto finora nemmeno il decreto, contestano i tagli alla sanità e l’impianto stesso di tutta la riforma, che dicono è stata fatta con due provvedimenti separati e incompatibili tra loro, ovvero il regolamento della spending review, che taglia i posti letto, e il decreto Balduzzi. Le Regioni chiedono che per il 2013 il finanziamento alla sanità sia riportato “almeno al livello del 2012. Inoltre, secondo le Regioni, per avere la possibilità di lavorare con una prospettiva di mantenimento dei Lea (i Livelli essenziali di assistenza), servirebbero anche un altro paio di miliardi”. Ma per il Governo altri fondi da dare non ce ne sono.
L’oncologia è penalizzata
L’oncologia è una disciplina che, più di altre, non può permettersi di assistere passivamente a quanto sta accadendo. Perché? «I pazienti oncologici hanno bisogno di cure che non solo nascono da secoli di studio, ma sono continuamente sotto esame», spiega Roberto Labianca, Presidente Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri. «La ricerca non si è mai fermata, i nuovi farmaci sono in continua sperimentazione, il personale dedicato continua ad aggiornarsi. Il paziente oncologico non finisce il suo percorso dopo la visita e l’inizio della cura, poiché esistono percorsi complessi e personalizzati: ogni paziente è un individuo a sé e viene seguito non con una terapia standard ma in modo individuale e con il sostegno di più figure professionali (chirurgo, psicologo, palliativista, dietologo….). Al paziente oncologico viene spesso proposto un nuovo farmaco o una nuova strategia terapeutica e l’oncologo non è solo un medico che somministra una terapia ma un “consulente” con cui interagire continuamente. La nostra associazione CIPOMO ha raccolto il disagio dei dirigenti delle Oncologie italiane. Non è stato fatto un censimento analitico e capillare su tutto il territorio ma i vari coordinatori regionali riportano situazioni preoccupanti e disomogenee l’una dall’altra. Giusto per fare qualche esempio: a Mantova dopo il pensionamento del Primario oncologo l’Unità di Oncologia Medica è sparita, “risucchiata” nel dipartimento di medicina con un direttore che non è un oncologo. Analoga situazione in Emilia Romagna, dove un pensionamento equivale ad un declassamento. In Campania non va meglio: le recenti linee guida per i piani aziendali emanati dalla Regione non lasciano grande spazio alle realtà esistenti. Nel Lazio sono presenti 13 Unità Complesse di Oncologia ma solo 3 di queste afferiscono a dipartimenti oncologici. Infine, come mai in Sicilia esistono 23 reparti di oncologia mentre in Sardegna solo uno? «Quanto alla Calabria, il collegio se ne occupa da tempo, cercando di discutere e interagire con le forze politiche locali».
Il medico di base 24 ore su 24
L’obbiettivo è quello di garantire l’assistenza di base 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, attraverso l’aggregazione di medici di medicina generale, pediatri, guardia medica e specialisti in nuove forme organizzative, così da favorire il decongestionamento degli ospedali. Ci sarà la possibilità di fare esami clinici, radiografie ed ecografie. Le nuove realtà ambulatoriali dovranno essere attivate senza costi aggiuntivi per la finanza pubblica. «Il problema, neanche dirlo, sono i soldi», dice il dottor Angelo Testa, presidente dello Snami (Sindacato nazionale autonomo dei medici italiani). «Le risorse dovranno essere stanziate dalle Regioni, che però non le hanno. Per rendere attuabile questa riforma ci vogliono due miliardi all’anno, una piccola finanziaria. Chi metterà i soldi? Queste strutture potranno essere realizzate nelle città, ma sarà difficile farlo nei piccoli Centri».
I professionisti risponderanno solo in caso di colpa grave o dolo
Per arginare il fenomeno della “medicina difensiva”, ossia la prescrizione da parte dei medici di esami utili a evitare problemi nel caso in cui il malato dovesse fare causa al dottore. La legge stabilisce che nel valutare la responsabilità del medico in un’eventuale causa giudiziaria, in caso di colpa lieve il giudice tenga conto dell’osservanza delle linee guida e delle buone pratiche della comunità scientifica nazionale e internazionale. In pratica il professionista che ha seguito le indicazioni della scienza, non potrà essere ritenuto responsabile di eventuali danni ai malati. Risponderà dei danni solo in caso di dolo o colpa grave.
Visite private in ospedale
Entro il 31 dicembre 2014 gli ospedali dovranno rendere disponibili i locali per permettere ai loro medici di esercitare l’attività professionale a pagamento all’interno della stessa struttura sanitaria (la cosiddetta intramoenia). Dovrà poi essere garantita la tracciabilità dei pagamenti delle prestazioni erogate in intramoenia ed è previsto che il 5% degli importi riscossi da queste visite siano trattenuti dalle aziende sanitarie per programmi di prevenzione e riduzione delle lista di attesa. «Questo ulteriore prelievo va ad aggiungersi alla percentuale della tariffa già trattenuta dall’azienda sanitaria a copertura dei costi e finirà per scaricarsi sulle tasche dei cittadini», sottolinea Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. «Inoltre le aziende sanitarie avranno difficoltà a trovare spazi adeguati all’esercizio di queste attività».
Farmaci, aumentano quelli a pagamento
La legge interviene anche sulla rielaborazione dei prontuari farmaceutici, cioè l’elenco dei medicinali prescrivibili dal sistema sanitario e che possono essere acquistati solo con ricetta medica. Due i punti principali. Il primo la possibilità che le Regioni diano alle Aziende la facoltà di dosaggi e confezionamenti ad hoc dei medicinali per eliminare sprechi di prodotto. Il secondo punto stabilisce che l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) introduca ulteriori medicinali in fascia C, ossia quella interamente a carico del cittadino, tra cui quelli considerati superati. È comunque previsto che l’Aifa possa disporre la rimborsabilità di questi medicinali per chi abbia già iniziato una cura. Questa norma ha suscitato molte critiche. «In pratica si allunga la lista a totale carico dei malati», dice Labianca. «Abbiamo già manifestato i nostri tumori sui farmaci antitumorali, è nostro dovere garantire ai pazienti cure personalizzate ed adeguate.
La maggior parte dei trattamenti per la cura del tumore si basa su agenti chemioterapici. Questi sono stati disponibili per decenni, ma ora iniziano a scarseggiare. Le ragioni di queste mancanze sono molteplici e complicate. I bassi margini di profitto legati alla produzione di certi agenti terapeutici ne limitano l’incentivo di produzione e la mancanza di materie prime unita a una maggiore crescita della domanda mondiale ne rallenta la produzione. Il risultato? «Vengono cercati e prescritti farmaci sostitutivi, ma non sempre l’efficacia è garantita, anzi, alcune cure si rivelano molto meno efficaci per i pazienti. A conferma di ciò uno studio presentato dal New England Journal of Medicine propone una riflessione sulla personalizzazione della radioterapia per i pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. Nel 2009 uno dei farmaci utilizzati nello studio – la Mecloretamina – si rivela non più disponibile. I ricercatori decidono di somministrare Ciclofosfamide (spesso utilizzato in modo interscambiabile con la Mecloretamina) aspettandosi risultati simili. Nessun paziente è morto, ma la percentuale di pazienti che hanno sconfitto la malattia è scesa dall’ 88% al 75%. Sono cifre e dati che devono far riflettere. Il ricevere cure appropriate è un diritto inalienabile del cittadino e noi primari oncologi».
Pagare per curarsi
L’Associazione Altroconsumo ha realizzato un’inchiesta sulle prestazioni sanitarie. Sono state coinvolte 160 strutture tra case di cure, poliambulatori e strutture pubbliche di otto città (Bari, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino) per valutare costi e tempi d’attesa. Sono stati valutati quattro esami e visite specialistiche tra i più richiesti: una gastroscopia, una visita ortopedica, una panoramica dentale, un’ecografia dell’addome Il modello di offerta sanitaria che è emerso nelle città e nelle regioni italiane vive di contraddizioni, tra eccellenze, rami secchi, servizi efficienti. Con una costante: che ci si rivolga al pubblico pagando ticket salati o al privato, a volte persino competitivo per prezzi e flessibilità d’orari, il risultato è che buona parte delle prestazioni sanitarie le pagano i cittadini. Chi non ha possibilità rinuncia a esami e cure. Perché poter stare in salute costa e non a tutti lo stesso prezzo: Altroconsumo rileva che a Milano, per quattro visite e esami specialistici si pagano in media 891,00 €, esattamente 500,00 € in più rispetto a quanto si paga a Napoli: 391,00 €. Ogni città offre servizi articolati diversi, le realtà sul territorio si compongono di variabili, punte di eccellenza e sacche di inefficienza. Ma in media tra strutture miste, convenzionate con il Servizio sanitario e cliniche private il cittadino ha accesso pagando prezzi notevolmente diversi regione per regione ma anche all’interno della stessa città ed esempio per una gastroscopia a Roma si spendono da 100,00 € a 1.000,00 €. I risultati dell’inchiesta parlano chiaro: ci sono strutture private che offrono prestazioni a prezzi competitivi con il ticket del Servizio sanitario. Sono le differenze tra regioni a colpire per ampiezza: la visita ortopedica a 19 euro a Napoli, arriva a Milano a costarne 200. L’ecografia completa all’addome a Bari 40,00 €, a Torino 269,00 €. Dunque l’offerta sta cambiando: curarsi privatamente a volte conviene anche per il portafogli, considerando i tempi d’attesa, ma una sanità più efficiente, rapida non deve disgiungersi da professionalità ed etica dei medici. La riduzione dei servizi sociali e delle coperture per far quadrare i bilanci sta colpendo indiscriminatamente sacche d’inefficienza e progetti validi, costruiti con cura negli anni da professionisti e storie di eccellenza. Lo Stato vuole risparmiare, ma oggi a pagare per primi, sulla propria pelle, sono i più deboli, che rinunciano alla propria salute.
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