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Leucemia mieloide cronica, guarire è un obiettivo possibile
Stefania Bortolotti, N. 4 aprile 2013
Grazie ai nuovi inibitori della tirosin-chinasi come nilotinib, più potenti ed efficaci del capostipite imatinib, un numero significativo di pazienti può arrivare alla guarigione di una malattia che fino a qualche decennio fa portava spesso a morte. A dirlo gli esperti riuniti a Bologna lo scorso Gennaio per il convegno "CML Path to cure: Communicate Meet & Link to build the path to cure", che ha coinvolto oltre 200 specialisti.
Quattro-cinque pazienti su dieci, tra quanti ottengono grazie alla terapia la risposta molecolare completa ovvero un livello talmente basso di cellule leucemiche residue da non poter più essere evidenziato con le comuni tecniche di monitoraggio, potrebbero arrivare a sospendere la terapia perché guariti. Ad oggi non è possibile definire con certezza quanti e quali malati possono raggiungere questo obiettivo, ma i progressi sono estremamente incoraggianti e fanno ben sperare per il futuro. È una vera e propria rivoluzione quella che coinvolge la leucemia mieloide cronica (LMC), che fino a qualche anno fa sembrava una malattia invincibile trattabile solo in casi selezionati con il trapianto di midollo, e che oggi può essere dominata grazie ai moderni inibitori della tirosinochinasi, come nilotinib. Il messaggio giunge da Bologna, dove lo scorso gennaio si sono riuniti i massimi esperti dell’ematologia italiana in occasione del convegno "CML Path to cure: Communicate Meet & Link to build the Path to Cure" ed è stato fatto il punto sulle prospettive di cura di una malattia che oggi, anche grazie alla strategia "Path to CureTM" messa in atto da Novartis, può essere guarita in alcuni casi. «La leucemia mieloide cronica ha una frequenza di circa 15 nuovi casi per milione per anno, che in un Paese come l’Italia vuol dire circa 900 nuovi casi ogni anno» spiega il Prof. Michele Baccarani, Professore di Ematologia Università di Bologna. «Dal 2000 la scena terapeutica è stata dominata da imatinib, al quale fanno oggi compagnia almeno altri quattro inibitori delle tirosin-chinasi. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che per almeno 20 anni era stato lo strumento terapeutico principale, l’unico in grado di produrre guarigioni, è ora impiegato solo nei casi di comprovata resistenza agli inibitori delle tirosino chinasi. La leucemia mieloide cronica rappresenta un modello di malattia "pre-maligna" che inevitabilmente diventerebbe maligna (crisi blastica - come una leucemia acuta - peggio di una leucemia acuta) se non fosse colpita dai farmaci diretti specificamente verso la molecola leucemogena, farmaci che essendo specifici sono poco tossici per la parte sana dell’organismo». Grazie all’introduzione delle nuove terapie con più potenti inibitori della tirosin-chinasi di BCR-ABL (quindi capaci di andare a interferire direttamente e con maggior "intensità" rispetto a imatinib sul meccanismo genetico che dà il via alla malattia) come nilotinib, è aumentato il tasso di sopravvivenza dei pazienti affetti da LMC e dunque di coloro che vivono con la malattia. Ma soprattutto le ricerche più recenti dimostrano che oggi è possibile anche giungere ad una completa guarigione, cioè a non aver più bisogno di trattamenti farmacologici. Mediamente il 40-50% dei pazienti che ottengono la risposta molecolare completa dopo terapia può raggiungere l’obiettivo della guarigione, ovvero la sospensione del trattamento senza andare incontro a recidive. Le percentuali di successo terapeutico, in genere, sono maggiori nei pazienti che sono in cura da più anni e in coloro che fin dall’inizio avevano una malattia più mite e meno aggressiva. «Ovviamente queste percentuali si riferiscono ai casi in cui si è ottenuta la Risposta Molecolare Completa», precisa il Prof. Giuseppe Saglio, Professore Ordinario di Medicina Interna ed Ematologia dell’Università di Torino - Ospedale Universitario S. Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino). «Bisogna sempre ricordare che si ottiene una più elevata percentuale di Risposta Molecolare Completa quando si impiegano inibitori della Tirosin-chinasi più potenti, come nilotinib ad esempio. Dopo quattro anni di trattamento con nilotinib, assunto al dosaggio di 300 milligrammi per due volte al giorno, il 40% dei pazienti in terapia raggiunge questo importantissimo obiettivo. Inoltre la terapia con nilotinib si è rivelata in grado di far raggiungere la remissione molecolare completa (la premessa perché la sospensione della terapia possa almeno essere tentata) in una significativa percentuale di pazienti e in tempi molto brevi, con indubbi vantaggi per la qualità della vita dei pazienti e anche per le finanze del sistema sanitario nazionale. Questi sono i risultati della strategia "Path to CureTM", sviluppata per compiere passi avanti nel percorso verso la cura definitiva dalla patologia rafforzando la collaborazione con ricercatori, esperti scientifici ed associazioni pazienti». L’approccio "Path to CureTM", sostenuto da Novartis, punta alla ricerca di nuove soluzioni terapeutiche e alla standardizzazione del metodo di misura della risposta alla terapia per raggiungere quell’obiettivo che abbiamo visto essere fondamentale: definire una risposta molecolare ancora più profonda, la risposta molecolare completa. Inoltre nell’ambito del "Path to CureTM" si sviluppano studi clinici specifici per consentire avanzamenti nelle conoscenze sulla patologia e favorire il raggiungimento dell’obiettivo "guarigione", quando ovviamente questo sia possibile. Ne è un esempio lo Studio ENESTFreedom, che sta prendendo il via in queste settimane e mira a valutare la possibilità di sospensione della terapia con nilotinib e quindi il raggiungimento dell’obiettivo guarigione. Il trial, che dovrebbe concludersi nel 2018, sarà effettuato in molti Paesi del mondo e coinvolgerà inizialmente otto Centri italiani. Oltre ai trial clinici, peraltro, la strategia “Path to CureTM” si basa anche sull’opportunità di studiare con le migliori tecnologie disponibili in ogni regione del nostro Paese l’evoluzione della malattia. «Noi ematologi abbiamo a disposizione farmaci estremamente efficaci ed abbiamo la possibilità di indurre la remissione ematologica abbastanza rapidamente in quasi tutti i pazienti» conferma il Prof. Fabrizio Pane, Professore Ordinario di Ematologia – Direttore U.O. di Ematologia e Trapianti di Midollo Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli – Presidente della Società Italiana di Ematologia (SIE). «Per questo è fondamentale disporre di indagini estremamente sensibili per utilizzare al meglio i farmaci stessi e soprattutto per valutare l’effetto del farmaco sulla malattia. Questo tipo di approccio è a tutto vantaggio del paziente, che può seguire il trattamento più indicato per il suo specifico caso. Grazie allo sviluppo e all’impiego di test specifici oggi siamo in grado di ottenere un impiego più appropriato dei farmaci, dall’altro di influire sulla prognosi del paziente. È anche grazie a questi test che oggi, nei pazienti che rispondono meglio alle cure, osserviamo un’aspettativa di vita paragonabile a quella dei pari età sani. Un esempio di questo approccio è il progetto Labnet, nato in Italia nel 2007, che coinvolge 40 laboratori in tutta Italia ed è nato sotto l’egida della SIE e gestito dal GIMEMA – Gruppo Italiano Malattie Ematologiche nell’adulto. Rappresenta un’arma di estrema importanza per la gestione della patologia, grazie ad un network di laboratori in grado di assicurare prestazioni di altissimo livello. In pratica grazie a Labnet si mettono in rete una serie di strutture specializzate in biologia molecolare in Italia che effettuano un monitoraggio della risposta molecolare di elevato livello e privo di carico economico per pazienti ed ospedali attraverso metodiche sofisticate standardizzate e di elevata qualità».
La strategia “Path to CureTM”
Nell’ambito del trattamento della Leucemia Mieloide Cronica (LMC), l’ultimo decennio ha rappresentato una vera e propria rivoluzione. Dapprima imatinib, capostipite della famiglia degli inibitori delle tirosin-chinasi (TKIs), ha profondamente modificato la prognosi dei pazienti affetti da LMC. In seguito l’avvento poi di TKIs di seconda generazione, che hanno dimostrato superiorità in termini di efficacia rispetto ad imatinib, ha permesso di ottenere risultati favorevoli anche nei pazienti intolleranti e resistenti. In particolare nilotinib, grazie alla maggiore selettività nei confronti del bersaglio BCR-ABL, ha dimostrato di poter raggiungere più velocemente rispetto a imatinib una risposta molecolare profonda, rendendo necessario un monitoraggio della malattia minima residua via via sempre più sensibile. Per ottimizzare l’impiego delle attuali opportunità diagnostiche e terapeutiche, ponendo il paziente al centro, Novartis ha dato il via negli anni scorsi alla strategia “Path to CureTM”. Diverse iniziative sono state sviluppate grazie alla forte collaborazione tra Novartis e la comunità scientifica, che hanno permesso tra l’altro l’implementazione di un consistente programma di studi clinici, che si pongono l’ambizioso obiettivo di interrompere il trattamento. L’elevata sensibilità del monitoraggio, l’innovazione terapeutica unitamente all’intenso programma di studi clinici rappresentano i pilastri fondamentali del “Path to CureTM”, l’impegno di Novartis nella cura dei pazienti affetti da LMC. Per il raggiungimento di questi obiettivi Novartis ha intrapreso un percorso condiviso per i prossimi 5 anni con enti accademici e scientifici a livello europeo e nazionale, rispettivamente con il progetto EUTOS in collaborazione con European LeaukemiaNet e il progetto LABnet in collaborazione con GIMEMA.
LABnet, in particolare, è la rete di laboratori standardizzati secondo l’International Scale (IS), capillarmente presente su tutto il territorio nazionale, che permette di valutare la Malattia Minima Residua secondo procedure armonizzate e condivise, facilitando la comunicazione tra i laboratori della rete e i Centri afferenti. Sul fronte clinico, invece, l’elevata sensibilità raggiunta nel monitoraggio della risposta molecolare e la superiorità di nilotinib nel garantire risposte molecolari più rapide e più profonde rispetto a imatinib hanno aperto le porte ad un nuovo scenario nella LMC: valutare, nell’ambito di studi clinici specifici, la possibilità di interrompere il trattamento nei pazienti che hanno una malattia minima residua non rilevabile. Alla luce di tali evidenze, la forte collaborazione tra Novartis e la comunità scientifica ha permesso l’implementazione di un consistente programma di studi clinici, che si pongono l’ambizioso obiettivo di interrompere il trattamento. Nell’ambito di questo ampio impegno di ricerca scientifica, sta per partire lo Studio ENESTFreedom, che mira proprio a valutare la possibilità di sospensione della terapia con nilotinib e quindi il raggiungimento dell’obiettivo guarigione. Il trial, che dovrebbe concludersi nel 2018, sarà effettuato in molti Paesi del mondo e coinvolgerà inizialmente otto centri italiani.
Intervista al prof. Michele Baccarani
Professore, qual è il quadro epidemiologico della leucemia mieloide cronica? Esistono fattori di rischio per questa malattia?
«La leucemia mieloide cronica è classificata fra le malattie rare, perché la frequenza è di circa 15 nuovi casi per milione per anno, che in un paese come l’Italia vuol dire circa 900 nuovi casi ogni anno. Ma la “prevalenza”, cioè il numero dei pazienti che hanno una leucemia mieloide cronica, è in continuo aumento, perché da qualche anno, da quando è stato introdotto imatinib, la sopravvivenza della leucemia mieloide cronica si è allungata moltissimo. Il successo della terapia con gli inibitori delle tirosin-chinasi ha come effetto un progressivo “accumulo” di pazienti. Questo effetto è certamente positivo, ma comporta problemi di gestione cronica della malattia che richiedono una soluzione ancora più brillante e ambiziosa, che è la guarigione vera e propria (libertà dalla leucemia e dalla terapia). La leucemia mieloide cronica, come molti tumori e leucemie, aumenta di frequenza con l’età. L’età mediana alla diagnosi è intorno a 60 anni, e quasi un terzo dei pazienti si ammalano ad oltre 70 anni. Nei bambini è molto rara. Si conoscono molto bene le basi molecolari della malattia, ma non se ne conoscono le cause. Le cause riconosciute delle leucemie acute (radiazioni e varie sostanze chimiche) sembrano non influire sulla leucemia mieloide cronica. Per quanto la LMC sia una malattia “semplice” con una sola, specifica, alterazione genica, non tutti i pazienti vivono ugualmente e non tutti i pazienti rispondono ugualmente ai farmaci. Esistono classificazioni in gruppi di rischio (rischio “Sokal”, rischio “Euro”, rischio “EUTOS” ) che identificano i pazienti che, appunto, sono “più a rischio” di non rispondere in modo ottimale alla terapia con gli inibitori delle tirosin-chinasi. La terapia ottimale di questi pazienti “ad alto rischio” è ancora oggetto di sperimentazioni».
Questa malattia rappresenta un modello per la scienza perché è stata la prima ad avere farmaci realmente intelligenti in grado di agire esattamente sul meccanismo molecolare che la genera. Come è cambiata la terapia negli ultimi decenni?
«Ci sono voluti 50 anni dalla scoperta del cromosoma di Philadelphia, e 20 anni dalla scoperta del gene leucemico (BCR-ABL) per arrivare alla scoperta e all’uso di farmaci diretti specificamente contro la proteina, che è leucemogenica, prodotta dal gene BCRABL. Una volta c’era la cosiddetta chemioterapia convenzionale (busulfano e idrossiurea), fino agli anni 90; poi è arrivato l’interferone-alfa; poi dal 2000 la scena terapeutica è stata dominata dall’imatinib, al quale fanno oggi compagnia almeno altri quattro inibitori delle tirosin-chinasi. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che per almeno 20 anni era stato lo strumento terapeutico principale, l’unico in grado di produrre guarigioni, è ora impiegato solo nei casi di comprovata resistenza agli inibitori delle tirosin-chinasi. La leucemia mieloide cronica rappresenta un modello di malattia “pre-maligna” che inevitabilmente diventerebbe maligna (crisi blastica – come una leucemia acuta – peggio di una leucemia acuta) se non fosse colpita dai farmaci diretti specificamente verso la molecola leucemogena, farmaci che essendo specifici sono poco tossici per la parte sana dell’organismo».
Professore, cosa si intravede nel futuro del trattamento di questa patologia?
«Per il futuro si vedono due strade. Una strada verso la normalizzazione della quantità e qualità della vita, che vuol dire trasformare una malattia ad alta malignità e mortalità in una condizione di quasi assoluta normalità. Su questa strada la medicina è già molto avanti. Il traguardo è vicinissimo. Ma questa strada ha un prezzo, che consiste nell’assunzione di farmaci per tutta la vita e nei riflessi psicologici, negativi, di dover convivere con una malattia potenzialmente mortale. La seconda strada è quella della guarigione, che è ancora una strada sperimentale sulla quale si concentrano le ricerche».
Intervista al prof. Giuseppe Saglio
Professore, la Leucemia Mieloide Cronica può oggi essere guarita o siamo ancora di fronte ad un’affascinante ipotesi di lavoro?
«Qualche tempo fa, questa malattia non aveva altre cure efficaci se non il trapianto di midollo. Poi sono arrivati gli inibitori della tirosin-chinasi, primo tra tutti imatinib, che hanno rappresentato una rivoluzione nel trattamento della LMC, consentendo di ottenere in moltissimi casi il controllo della malattia. Oggi, si è visto che in alcuni casi è possibile anche sospendere la terapia con imatinib dopo aver raggiunto la remissione molecolare completa (un livello residuo di malattia in cui il segnale della presenza della malattia non si vede più) senza che la malattia si ripresenti. Una situazione che potremo definire di guarigione vera e propria. Grazie alla disponibilità di farmaci sempre più potenti come ad esempio gli inibitori di seconda generazione come il nilotinib, possiamo dire che quella che era un’ipotesi di lavoro fino a qualche mese fa riservata a pochi pazienti con LMC, oggi potrebbe diventare una possibilità per una percentuale maggiore di pazienti. La terapia con nilotinib si è infatti rivelata in grado di far raggiungere la remissione molecolare completa (la premessa perché la sospensione della terapia possa almeno essere tentata) in una significativa percentuale di pazienti e in tempi molto brevi. Inutile sottolineare che questo avrebbe indubbi vantaggi per la qualità della vita dei pazienti e anche per le finanze del sistema sanitario nazionale. Oggi la sfida è capire bene in quante persone si possa ottenere questo importantissimo risultato, impensabile fino a qualche anno fa».
Si può dire quanti potrebbero essere i pazienti che possono guarire?
«Ad oggi non esistono dati precisi. Possiamo però dire che mediamente il 40-50 per cento dei pazienti che ottengono la risposta molecolare completa dopo terapia può raggiungere l’obiettivo della guarigione, ovvero la sospensione del trattamento senza andare incontro a recidive. Le percentuali di successo terapeutico, in genere, sono maggiori nei pazienti che sono in cura da più anni e in coloro che fin dall’inizio avevano una malattia più mite e meno aggressiva. In queste persone la percentuale di guarigione può arrivare anche al 70-80%, sempre ovviamente nei casi in cui si è ottenuta la Risposta Molecolare Completa. Attenzione però: bisogna sempre ricordare che si ottiene una più elevata percentuale di Risposta Molecolare Completa quando si impiegano inibitori della tirosin-chinasi più potenti, come nilotinib ad esempio. Gli studi clinici dicono infatti che dopo quattro anni di trattamento con nilotinib assunto al dosaggio di 300 milligrammi per due volte al giorno il 40% dei pazienti in terapia raggiunge questo importantissimo obiettivo».
Può spiegarci cosa significa Risposta Molecolare Completa?
«Con questo termine si definisce un livello estremamente basso di cellule leucemiche residue, tanto da non poter più essere evidenziato con le più comuni tecniche a nostra disposizione. In media con nilotinib questo obiettivo appare più che raddoppiato rispetto a quanto si ottiene con imatinib 400 milligrammi al giorno. Questo parametro è di fondamentale importanza, perché oggi sappiamo che questo è il presupposto per avere una sempre maggiore percentuale di pazienti che potranno prima o poi smettere la terapia e considerarsi definitivamente guariti. L’utilizzo di inibitori di seconda generazione quali il nilotinib come terapia di prima linea evidenzia altri vantaggi concreti per i pazienti che vengono colpiti da leucemia mieloide cronica. In particolare, nella fase iniziale della terapia gli inibitori di seconda generazione riducono sostanzialmente il rischio di progressione verso la fase accelerata e la crisi blastica e conseguentemente riducono il rischio di morire a causa della malattia. In tempi più lunghi, un numero maggiore di pazienti, potrà sperare nel raggiungimento della remissione molecolare completa e quindi nella possibilità di provare a smettere la terapia senza che questo si associ a una ripresa della malattia stessa, una condizione quindi che potremo in pratica definire di guarigione definitiva dalla malattia, con conseguente svincolo dall’assunzione a vita del farmaco».
A suo parere, quali sono le categorie di pazienti in cui è più difficile ottenere questi risultati?
«Ad oggi non ci sono certezze. Sicuramente ci sono persone che più difficilmente ottengono in tempi utili la Risposta Molecolare Completa e in questi più facilmente si va incontro a recidive di malattia. Non bisogna dimenticare che la LMC non è una malattia “unica” : all’interno di questa diagnosi si possono avere quadri biologicamente diversi, con cloni maligni particolarmente resistenti alle terapie. In altri casi si è visto che esiste una maggior percentuale di cellule staminali patologiche, altro indice di maggior gravità del quadro patologico: in questi casi la speranza di arrivare alla guarigione completa appare più ridotta. Per questo, in specifiche tipologie di pazienti, si stanno sviluppando studi clinici per valutare l’eventuale associazione di farmaci come nilotinib con altri medicinali, come ad esempio l’interferone. Si stanno sviluppando inoltre altri farmaci che potranno consentirci di migliorare ancora i già soddisfacenti risultati di oggi, qualora gli studi clinici ne confermino le potenzialità».
Professore, in poche parole, quindi, stiamo assistendo a una vera evoluzione nella rivoluzione segnata da imatinib?
«Proprio così: una volta si pensava che solo la continua assunzione dei farmaci potesse controllare la malattia e la sua evoluzione. Grazie all’introduzione delle nuove terapie con più potenti inibitori della tirosin-chinasi di BCR-ABL quali nilotinib è aumentato il tasso di sopravvivenza dei pazienti affetti da LMC e dunque di coloro che vivono con la malattia. D’altra parte, questi sono i risultati della strategia “Path to CureTM”, sviluppata per compiere passi avanti nel percorso verso la cura definitiva dalla patologia rafforzando la collaborazione con ricercatori, esperti scientifici e associazioni pazienti. Questo approccio punta alla ricerca di nuove soluzioni terapeutiche e alla standardizzazione del metodo di misura della risposta alla terapia per raggiungere quell’obiettivo che abbiamo visto essere fondamentale: definire una risposta molecolare ancora più profonda, la Risposta Molecolare Completa».
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC)
È una neoplasia maligna causata da un’alterazione acquisita della cellula staminale totipotente del midollo osseo, quella cioè dalla quale si originano tutte le altre cellule del sangue. Questa alterazione, permanente, causa una proliferazione incontrollata delle cellule nel midollo osseo stesso con produzione di un numero elevato di globuli bianchi. I globuli bianchi in eccesso escono dal midollo osseo e vanno a colonizzare il sangue periferico e la milza. Il termine “cronica” indica che la malattia ha inizialmente un decorso lento, con pochi sintomi, anche se dopo un periodo variabile di alcuni anni, se non correttamente trattata, si trasforma inevitabilmente in una leucemia acuta.
Il cromosoma Philadelphia
La malattia è caratterizzata dalla presenza del cromosoma Philadelphia (Ph), dal nome della città nella quale fu scoperto dal Dr. Peter Nowell e dal Dr. David Hungerford nel 1960. Questo unico marcatore cromosomico rappresenta l’anomalia genetica specifica della LMC, ed è il risultato di uno scambio (o traslocazione) di DNA tra i cromosomi 9 e 22: tale scambio dà luogo ad un cromosoma 22 più corto, detto appunto Philadelphia.
Epidemiologia
Le leucemie sono responsabili di circa il 3% di tutte le neoplasie, con una prevalenza nel mondo di circa 60-100 casi per milione di abitanti per anno. L’incidenza della Leucemia Mieloide Cronica è di 16 nuovi casi per milione per anno. È una malattia rara nei bambini, in cui non costituisce più del 5% di tutte le leucemie. Negli adulti la LMC rappresenta circa il 15-20% di tutti i casi di leucemie ed è meno comune della leucemia mieloide acuta (LMA, 33% ) e della leucemia linfoide cronica (LLC, 26% ) (Dati Usa, Cancer Statistics, anno 1997, su un totale di 28.300 casi). In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 700-800 nuovi pazienti. L’età media di comparsa della LMC è attorno a 55 anni. Meno del 10% dei pazienti con Leucemia Mieloide Cronica ha meno di vent’anni, mentre il 30% ha più di 60 anni. La malattia colpisce leggermente di più l’uomo che la donna, con un rapporto di 1,3:1. Malattia le cui cause risultano sconosciute nella quasi totalità dei casi, la LMC non è ereditaria e non esiste associazione nota con agenti infettivi. Esiste invece un’associazione tra LMC ed esposizione alle radiazioni ionizzanti. La prima dimostrazione si è avuta facendo l’analisi epidemiologica dei casi di LMC nei sopravvissuti alle esplosioni atomiche belliche di Hiroshima e Nagasaki: la LMC è risultata molto più frequente dell’atteso.
Sintomi ed evoluzione della malattia
I sintomi della LMC, non sempre presenti, comprendono: stanchezza, sudorazione notturna, perdita di peso, senso di tensione addominale (legata alla presenza di una milza ingrandita). Quando la malattia progredisce possono comparire febbre, dolori ossei e all’addome (legati all’ulteriore incremento volumetrico della milza). Negli stadi avanzati la LMC presenta segni e sintomi tipici della leucemia acuta; l’esame del sangue rivela ulteriore incremento dei globuli bianchi con sovvertimento della loro funzione, anemia, aumento o drastica riduzione delle piastrine. La LMC progredisce attraverso tre fasi caratterizzate da un progressivo peggioramento delle condizioni cliniche. Al momento della diagnosi, il 90% dei pazienti sono in fase cronica, i rimanenti sono già in fase accelerata o blastica.
Nilotinib (Tasigna®)
Nilotinib è il farmaco appositamente disegnato per offrire un’alternativa terapeutica più selettiva e potente ai pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica (LMC). Nilotinib appartiene alla classe degli inibitori della tirosinachinasi Bcr-Abl, il prodotto del cromosoma Philadelphia (Ph+), marker specifico della Leucemia Mieloide Cronica.
Meccanismo d’azione
La tirosina-chinasi Bcr-Abl è l’oncoproteina che causa l’anomala diramazione (o trasduzione) dei segnali di attivazione del sistema cellulare che sono all’origine del processo leucemico. Nilotinib blocca Bcr-Abl “inserendosi” con elevata affinità all’interno della “tasca”, responsabile dell’attivazione dell’oncoproteina; riesce a farlo in maniera tanto efficace da agire anche su forme mutanti della tasca stessa. Rispetto a imatinib, nilotinib è molto più potente nell’inibire la proteina anomala e presenta una maggiore affinità di legame – è cioè più specifiica – per la chinasi Bcr-Abl. Come conseguenza della sua attività biochimica, nilotinib inibisce selettivamente la proliferazione cellulare e induce la morte delle cellule leucemiche Ph+ dei pazienti affetti da LMC. La maggiore selettività del farmaco nei confronti della chinasi Bcr-Abl si riflette in una migliore efficacia clinica. Maggiore affinità di imatinib per il sito di legame della tirosina-chinasi. Inoltre, grazie alla sua selettività, affinità e potenza di agire sul target della malattia, se nza coinvolgere in Nilotinib ha una maniera aspecifica molecole ubiquitarie a livello cellulare, nilotinib ha permesso di garantire una buona tollerabilità, con un’incidenza di eventi avversi ridotta rispetto a imatinib.
Indirizzi utili
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA SAN LUIGI GONZAGA
Regione Gonzole, 10 10043 Orbassano (To)
Prenotazioni/informazioni: 011.9026006 – 800.274163 Centralino: 011.90261
www.sanluigi.piemonte.it
Oncoematologia
Prof. Giuseppe Saglio Tel. 011.9026305
POLICLINICOSANT’ORSOLA-MALPIGHI
Via Pietro Albertoni, 15 40138 Bologna
Prenotazioni/informazioni: 800.884888 – 051.6361259 Centralino: 051.6361111
www.aosp.bo.it
Oncoematologia
Prof. Michele Baccarani Tel. 051.6363809
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II
Via Sergio Panisini, 5 80131 Napoli
Prenotazioni/informazioni: 800.166682
Centralino: 081.7461111
www.policlinico.unina.it
Oncoematologia
Prof. Fabrizio Pane Tel. 081.7462037
giuseppe.saglio@unito.it
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