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Screening oncologici: solo il 45% degli italiani risponde alla chiamata delle Asl
Paola Sarno, N. 4 aprile 2013
«Se la grave crisi che attraversa il nostro Paese ha dei riflessi su tutte le politiche sanitarie pubbliche, ha dunque effetto anche sui programmi di screening. Considerando questo scenario di fondo, i risultati dell’attività 2010 si possono giudicare positivi, anche se permane il differenziale fra Centro-Nord e Sud». Così i ricercatori dell’Osservatorio Nazionale Screening hanno commentato, in sintesi, i dati relativi all’accesso agli screening oncologici in Italia, che sono stati raccolti nel X Rapporto dell’Osservatorio pubblicato su uno speciale volume di Epidemiologia e Prevenzione realizzato con il Ministero della Salute. Ciò che emerge in prima istanza è che la prevenzione secondaria effettuata oggi nel nostro Paese in particolare attraverso i tre principali programmi di screening (cervicale, mammografico e colorettale) non avrebbe un andamento del tutto negativo, anche in tempi di crisi economica. Nell’anno di riferimento, infatti, grazie ai 4,3 milioni di screening effettuati sono stati identificati e trattati più di 6mila tumori alla mammella e altre migliaia di neoplasie negli altri due distretti esaminati.
I dati dell’osservatorio nazionale screening
Nel complesso dai dati è emerso che, nel corso del 2010, quasi 9,5 milioni di individui sono stati invitati a un controllo di screening (3.450.000, 2.496,000 e 3.464.000, rispettivamente per lo screening cervicale, mammografico e colorettale). Delle persone chiamate, oltre 4.300.000 hanno accettato l’invito (1.375.000, 1.382.000 e 1.582.000 rispettivamente); questa attività ha portato all’identificazione e al trattamento di 6.015 tumori mammari (pari al 31% di tutte le neoplasie al seno incidenti in Italia fra i 50 e i 69 anni, secondo le stime più recenti), 4.597 lesioni CIN2+ (cioè displasie di grado lieve o moderato rilevate dal Pap test e che necessitano di essere trattate), 916 cancri colorettali (cioè il 15% di tutti quelli riscontrati fra i 50-69 anni) e 15.049 adenomi avanzati. Rispetto all’anno precedente si è registrata quindi una lieve diminuzione per lo screening cervicale e per quello mammografico, mentre si è rilevato un aumento del numero degli screening colorettali effettuati. Secondo i ricercatori, inoltre, una parziale spiegazione per la diminuzione dello screening mammografico deriverebbe dal sovraccarico registrato particolarmente in due Regioni (Emilia-Romagna e Piemonte) e dovuto all’estensione dell’invito alle donne nella fascia di età fra i 45 e i 49 anni. Un fatto che ha determinato una parziale diminuzione degli inviti alle donne di età superiore ai 50 anni.
Una fotografia con luci ed ombre
La fotografia dei programmi di prevenzione secondaria scattata dai ricercatori dell’Osservatorio Nazionale Screening nel X Rapporto non è quindi completamente negativa. Piuttosto ciò che si evince ancora una volta in un Paese come l’Italia, dove la capillarità e la qualità dell’assistenza sanitaria sono ancora decisamente a macchia di leopardo, è una mancanza di omogeneità nell’estensione dei programmi e nella copertura di questo importante strumento di prevenzione oncologica fra Nord e Sud del Paese. Benché il quadro generale sia quindi ancora poco uniforme, dunque, agli esperti non manca l’ottimismo. «Questa panoramica sulla diffusione dei programmi di screening in Italia illustra una situazione di lenta espansione che riesce molto parzialmente a superare le distanze esistenti fra Centro-Nord e Sud» ; hanno infatti affermato. «La mancata copertura di alcune aree e, in alcuni casi, la bassa partecipazione, non sono l’unico ostacolo che i programmi di screening oncologici si trovano ad affrontare. Esistono anche problemi concernenti la qualità di alcuni programmi, che monitoraggi come questo tentano di mettere in luce: lo scopo della sorveglianza è il miglioramento continuo della qualità; mettendo in evidenza i punti deboli (quando vi sono) dei singoli programmi, offre la possibilità di mettere in campo azioni positive per risolverli». Ma vediamo quali sono i dati emersi dal X Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening relativi ai tre principali programmi attivati nel nostro Paese.
La mammografia arriva al 92% delle donne
L’estensione nominale (cioè la percentuale di donne in età obiettivo residenti in un’area dove un programma di screening è attivo) della mammografia è circa il 92%, dato che corrisponde a un’attivazione totale secondo i criteri europei, ma in leggero calo rispetto al 2009, ma le differenze fra le aree geografiche si fanno più evidenti quando si considera l’estensione reale. Anche in questo caso vediamo un lieve calo rispetto al 2009 ( 69,5% ), ma il dato più importante è che la distanza fra il Centro-Nord e il Sud rimane notevole: infatti, se per il secondo valore si raggiunge il 89% al Nord e il 77% al Centro, la percentuale scende a meno del 38% al Sud. Un lieve decremento che, secondo gli studiosi, deriverebbe dalla temporanea chiusura di alcuni programmi nel Meridione. Se, del resto, la copertura nel Centro-Nord è totale, nel Sud e nelle Isole si ferma al 75%. Un dato comunque positivo, poiché nel Sud solo 6 anni fa si raggiungeva appena il 10% delle donne.
I numeri del Pap test premiano i progressi del sud
Nel 2010 l’estensione nominale dei programmi di screening organizzati per la prevenzione del cancro della cervice uterina (Pap test) ha superato l’ 80%, anche se l’aumento è stato molto ridotto e c’è stata un’ulteriore lieve riduzione al Nord, a causa di un’attivazione molto ridotta specialmente in Lombardia, Liguria e P.A. di Bolzano. Al Sud e nelle Isole, invece, l’attivazione va progressivamente completandosi, ma non in Sicilia, dove la quota supera di poco il 50%. Sempre nel 2010 i programmi attivi in Italia avevano una popolazione target di 13.538.080 donne, corrispondenti all’ 80,1% della popolazione femminile italiana tra i 25 e i 64 anni (contro il 78,1% del 2009). L’estensione è rimasta stabile al Nord, mentre un lieve aumento si è registrato nel Centro-Sud, grazie all’implementazione di nuovi programmi in Sardegna. L’estensione effettiva, invece, è stata il 60,7% a livello nazionale, inferiore al valore 2009. Sempre secondo i dati dell’Osservatorio, è stato sottoposto a screening il 39,8% delle donne invitate (contro il 39,3% del 2009), ma si è registrata una tendenza alla diminuzione nell’aderenza all’invito su tutto il territorio nazionale ( 49,4% al Nord, 38% al Centro e 28,1% al Sud). L’aderenza delle donne all’invito delle Asl era superiore al 30% in 12 Regioni e sopra il 50% in Umbria, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Trentino. Degno di nota anche l’aumento della compliance al Sud, in controtendenza rispetto agli anni precedenti.
Lo screening del colon-retto migliora, ma segna ancora il passo
In questo caso nel 2010 l’estensione nominale ha raggiunto il 66% del territorio nazionale, un risultato importante sia nel confronto con le altre esperienze europee sia se paragonato alla diffusione di questo test nei 5 anni precedenti. Fino a metà degli anni Duemila erano infatti presenti solo poche esperienze pilota. Anche in questo caso, le differenze fra Nord e Sud del Paese sono di rilievo. Se al Nord si arriva al 90% e all’ 80% nel Centro, la copertura nel Sud supera di poco il 30% al Sud. E le differenze si acuiscono ancor più quando si considera l’estensione reale: questo parametro, infatti, risulta pari rispettivamente al 78% al Nord, al 45% al Centro, mentre scende all’ 8% al Sud.
Tumore della mammella: i dati italiani
Tra il 1998 e il 2002 il tumore della mammella è stato il tumore più diffuso tra le donne ( 24,9% del totale delle diagnosi tumorali) e la prima causa di morte per tumore ( 17,1% del totale dei decessi oncologici). Tuttavia, nonostante si osservi una tendenza in aumento dell’incidenza, la mortalità per tumore della mammella è in diminuzione. Nell’area coperta dai registri tumori di popolazione, sono stati diagnosticati in media 152 casi all’anno di tumore della mammella ogni 100mila donne. Per quanto riguarda la mortalità, nel 2002 sono state 11.251 le donne morte a causa di un tumore della mammella. Il rischio di avere una diagnosi di tumore della mammella nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 1 caso ogni 11 donne, mentre il rischio di morire è pari a 1 decesso ogni 50 donne. Per quanto riguarda la modalità di diagnosi, il 91% dei tumori della mammella sono stati individuati con esame istologico, il 4% con esame citologico e il 4% con esame clinico. Le tipologie più frequenti tra i casi con conferma istologica sono il carcinoma duttale infiltrante ( 65% ), il carcinoma lobulare ( 13% ) e il tumore maligno ( 7% ). I dati del 2003 mostrano che, a un anno dalla diagnosi, il tasso di sopravvivenza relativa è del 95% per gli uomini e del 97% per le donne. Questo valore decresce col passare del tempo e a distanza di 5 anni la probabilità di sopravvivere a un tumore alla mammella è dell’ 85% per entrambi i sessi.
Epidemiologia del cancro della cervice uterina
Tra il 1998 e il 2002, il tumore della cervice uterina ha rappresentato l’ 1,6% di tutti i tumori diagnosticati tra le donne e lo 0,6% dei decessi per neoplasia. I tassi di incidenza sono abbastanza omogenei tra le varie aree italiane. Nella zona coperta dai registri tumori di popolazione sono stati diagnosticati mediamente ogni anno 9,8 casi di tumore della cervice uterina ogni 100mila donne. Ogni anno in Italia si stimano 3.418 nuovi casi diagnosticati, mentre nel 2002 si sono registrati 370 decessi per tumore della cervice uterina e oltre 1.756 decessi per tumore dell’utero non altrimenti specificato. Il rischio di diagnosi di tumore della cervice uterina nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 6,2 ‰ (1 caso ogni 163 donne), mentre il rischio di morire è pari allo 0,8 ‰. Per quanto riguarda la modalità di diagnosi, il 94% dei tumori della cervice uterina sono stati individuati con esame istologico, il 3% con esame clinico e il 2% con esame citologico. Le morfologie più frequenti tra i casi confermati a livello istologico sono il carcinoma a cellule squamose ( 53% ) e l’adenocarcinoma ( 12% ). I tassi di incidenza sono in diminuzione per quanto riguarda le forme squamocellulari, mentre cresce quello degli adenocarcinomi. I dati del 2003 mostrano che a un anno dalla diagnosi il tasso di sopravvivenza relativa è del 95% per le donne fino ai 44 anni e del 72% per le donne sopra i 75 anni.
Incidenza, mortalità e sopravvivenza del cancro del colon retto
Tra il 1998 e il 2002, il tumore del colon retto è risultato la quarta neoplasia più frequente fra gli uomini ( 11,3% del totale dei tumori) e la terza più frequente fra le donne ( 11,5% del totale). Fra le cause di morte per cancro, quella del colon retto risulta la seconda in ordine di frequenza sia fra gli uomini ( 10,4% di tutti i decessi oncologici) sia fra le donne ( 12,4% ). Le stime per l’Italia indicano che ogni anno sono 20.457 i nuovi casi diagnosticati fra i maschi e 17.276 quelli fra le femmine. Nel 2002, inoltre, si sono verificati 10.526 decessi per tumore del colon retto fra i maschi e 9.529 fra le donne. Il rischio di avere una diagnosi di tumore del colon retto nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 50,9 ‰ fra i maschi (1 caso ogni 20 uomini) e di 31,3 ‰ fra le femmine (1 caso ogni 32 donne), mentre il rischio di morire è dello 17,3 ‰ per i maschi e 10,0 ‰ fra le femmine. La diagnosi fra gli uomini è avvenuta tramite esame istologico nel 93% e tramite test clinico nel 6% dei casi, mentre le forme più riscontrate sono l’adenocarcinoma ( 76% ) e il tumore maligno ( 9% ). Per le donne, le principali diagnosi sono l’esame istologico ( 90% ) e l’esame clinico ( 9% ), e le forme tumorali più frequenti l’adenocarcinoma ( 74% ) e il tumore maligno ( 9% ). Ma, accanto all’incremento dei casi si registra un calo progressivo della mortalità. I dati del 2003 mostrano che a un anno dalla diagnosi il tasso di sopravvivenza relativa è del 79% per gli uomini e del 77% per le donne.
Uno studio ONS conferma che la mammografia può salvare la vita
Lo screening mammografico riduce la mortalità per tumore al seno e salva molte vite. A ribadirlo è anche uno studio promosso dall’Osservatorio Nazionale Screening, la rete di coordinamento nazionale degli screening oncologici del Ministero della salute, che ha sede presso l’Ispo, l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica della regione Toscana. Lo studio, realizzato con il contributo di ricercatori di nove Paesi europei, rappresenta un fondamentale contributo scientifico in una controversia pro e contro lo screening mammografico, che ha coinvolto non solo la stampa scientifica, ma anche l’opinione pubblica. I risultati dello studio, pubblicati in un supplemento del Journal of Medical Screening, mostrano che ogni 1.000 donne dai 50 ai 69 anni che si sottopongono allo screening mammografico ogni due anni, tra le 7 e le 9 donne hanno avuto la vita salvata, e che 4 casi di tumore della mammella (a fronte delle 67 donne che si ammalano di tumore mammario in assenza di screening) potrebbero essere “sovradiagnosi” (riconoscimento di tumori a bassa capacità evolutiva e quindi potenzialmente non pericolosi). I benefici osservati, in termine di vite salvate, in rapporto agli effetti collaterali (sovradiagnosi e falsi positivi al test) rafforzano quindi la necessità di continuare a promuovere i programmi di screening e a rendere le donne sempre più consapevoli della necessità di effettuare regolari controlli per la prevenzione dei tumori mammari.
Procedono bene i test del vaccino Tspp per colon e polmone
Sono positivi i risultati della sperimentazione di fase I di un vaccino antitumorale, chiamato Tspp e testato per il cancro al colon e al polmone. Lo studio è stato condotto a Siena, presso il policlinico Santa Maria alle Scotte, dalla microbiologa Maria Grazia Cusi e dall’oncologo Pierpaolo Correale, con la collaborazione della Farmacia Ospedaliera. Obiettivo principale della prima fase dello studio era quello di “testare la tossicità e, conseguentemente, l’attività immunobiologica del Tspp che agisce su un enzima importante per la vita delle cellule tumorali”. Per i due esperti, “il vaccino non ha presentato tossicità di rilievo, inoltre lo studio immunobiologico ha finora rivelato il potenziamento del trattamento chemioterapico contro il tumore. Nello studio sono stati arruolati 38 pazienti con aspettativa di vita superiore a 3 mesi, già sottoposti a terapia convenzionale per la tipologia del tumore. Il monitoraggio clinico e radiologico ha mostrato una stabilizzazione di malattia con una durata maggiore di 6 mesi, con miglioramento della qualità della vita in alcuni pazienti arruolati”. Tali risultati, infatti, “aprono la strada a ulteriori sperimentazioni cliniche di fase II”, designate selettivamente allo studio dell’attività anti-tumorale del vaccino da solo o in associazione al trattamento biochemioterapico in pazienti oncologici.
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