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Novità in Anestesia
Cristina Mazzantini, N. 4 aprile 2013
È entrato nelle sale operatorie e ha rivoluzionato l’anestesia generale. In appena due, tre minuti consente il recupero completo della funzione muscolare e respiratoria del paziente, nel caso specifico oncologico, indipendentemente dalla durata dell’anestesia e dalla quantità di miorilassante somministrato. È l’antidoto immediato della curarizzazione. Non è un supereroe ma è il primo e unico farmaco in grado fare tutto questo, l’alternativa è un’attesa di ore e il rischio di complicanze. Associato ai curari steroidei è la migliore e più sicura strategia anestesiologica che si possa dare ad un malato per lo più con neoplasia. Si chiama sugammadex il farmaco di MSD che ha contribuito a rivoluzionare l’anestesia e che, nel nostro Paese, rimane fuori da molte sale operatorie in nome di un ipotetico risparmio. Più che un paradosso è un vero e proprio appello: più sicurezza in sala operatoria! E a lanciarlo sono coloro che meglio di chiunque altro conoscono i vantaggi di questo farmaco ovvero un gruppo di anestesisti appartenenti alla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), che in un documento ufficiale affermano che se la struttura ospedaliera impedisce l’uso del farmaco in caso di danni al paziente, se ne assume ogni responsabilità. E si apre un problema etico: gli anestesisti si trovano impossibilitati a garantire la migliore anestesia possibile devono consigliare ai pazienti di cambiare ospedale o, se necessario, addirittura regione? La presa di posizione della SIAARTI e lo stato dell’arte dell’anestesia in Italia sono stati al centro di un importante incontro scientifico “Networks in Anaesthesiology” che si è tenuto recentemente a Roma. «Chi impedisce all’anestesista di usare questo farmaco è responsabile dei rischi che corre il paziente soprattutto se è oncologico» ha dichiarato il professor Antonio Concione, presidente designato della SIAARTI. «I malati hanno il diritto di veder garantita la scelta anestesiologica più sicura. E per ottenere ciò l’anestesista ha il diritto di poter utilizzare i migliori strumenti a sua disposizione. E nessuno avanzi obiezioni di carattere economico: ad esempio l’utilizzo del farmaco innovativo riduce i tempi di recupero neuromuscolare, ottimizzandone il profilo di sicurezza e il turnover di interventi in sala operatoria», ha proseguito il presidente. «È una posizione chiara e netta. Questo significa che non ci sono più alibi. Un direttore di Anestesia può fare richiesta d’uso di sugammadex in sala operatoria avvalorandola con il Position Paper della SIAARTI. In caso di risposta negativa, la struttura ospedaliera si assumerà tutte le responsabilità di carattere medico-legale nei confronti del paziente. Ritengo sia dovere dell’anestesista avvisare il paziente che in quella struttura non è possibile avere la scelta anestesiologica più sicura. Bisogna garantire al paziente di avere la possibilità di scegliere. Anche se questo è, per l’ospedale, un danno apparentemente “ considerevole” in termini di risparmio: è un circolo vizioso che bisogna interrompere». Stiamo parlando di un farmaco che ha rivoluzionato l’anestesia generale come sostenuto dai più e a tal proposito il professor Giorgio Della Rocca direttore della Clinica Anestesia e Rianimazione e direttore della Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione all’Università degli Studi di Udine ha sottolineato: «Volendo semplificare al massimo potremmo dire che il sugammadex è l’antidoto immediato della curarizzazione poiché agisce in pochissimi minuti in modo più selettivo, è un antagonista del miorilassante steroideo in grado di agire in tempi rapidissimi – entro due, tre minuti appunto – consentendo la rapida e completa ripresa della funzione muscolare e respiratoria indipendentemente dalla durata dell’anestesia e dalla quantità di miorilassante steroideo somministrato durante l’intervento chirurgico. E vorrei sottolineare gli aggettivi rapida e completa, perché non si tratta di dettagli ma di elementi di grande importanza per la sicurezza del paziente. È l’unico antagonista dei miorilassanti steroidei in grado di assicurare questo, l’alternativa è un’attesa di ore prima che il paziente recuperi la sua completa funzionalità muscolare e quindi respiratoria. Ma non solo, anche a distanza di tempo dalla fine dell’intervento se l’anestesia non è stata completamente eliminata può insorgere un danno respiratorio legato alla curarizzazione residua. L’anestesia generale avviene grazie alla somministrazione di tre farmaci: un ipnoinduttore, un oppioide e un curaro. È quest’ultimo ad avere la funzione miorilassante. Grazie alla sua azione selettiva, quindi mirata, riconosce e incapsula tutte le molecole del miorilassante: ecco perché è in grado in brevissimo tempo di ripristinare completamente, e sottolineo ancora completamente, la funzione muscolare. Gli antagonisti “tradizionali” dei miorilassanti più usati in sala operatoria, non hanno un’azione mirata e selettiva ma agiscono in maniera indiretta ed è per questo che ci vuole molto più tempo affinché tutte le molecole di curaro sia eliminate dall’organismo attraverso fegato e reni. In sintesi: con questa molecola abbiamo una ripresa della funzione muscolare rapida e completa, con gli altri antagonisti più lenta e non sempre totalmente appropriata». «Riduce i rischi per il paziente che dell’anestesia generale ha sempre paura», ha precisato il professor Carlo Ori ordinario di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università degli Studi di Padova; spiegando poi come: «I pazienti si dividono in due grandi categorie: quelli che ti chiedono “tanta” anestesia perché hanno paura del dolore e quelli che ti chiedono “poca” anestesia perché ne hanno paura. In ogni caso tutti parlano del risveglio. Oggi grazie a tutte le strategie che mettiamo in atto in sala operatoria il rischio è veramente molto basso», ha proseguito sempre il professor Ori. «Quello che fa preoccupare di più soprattutto noi medici possono essere le complicanze post operatorie legate all’anestesia. Ecco perché l’introduzione di un farmaco rivoluzionario che nel giro di due, tre minuti riporta il paziente alla sua completa funzione muscolare e respiratoria scongiurando ogni complicanza da curarizzazione è da considerarsi veramente importante. E rassicurante sia per l’anestesista, che per il chirurgo che ancor di più per il paziente. Chiunque si sia sottoposto ad anestesia generale ricorda la fase post operatoria gravata da una grande pesantezza, la sensazione di avere il corpo pesante come un macigno, impossibile da muovere se non con uno sforzo immenso. E poi la difficoltà a respirare e il senso di stanchezza. Un paziente al quale in sala operatoria è stato somministrato il nuovo farmaco invece dei tradizionali farmaci per la risoluzione del blocco neuromuscolare (gli anticolinesterasici) non avrà nessuna di questa sensazione perché nel giro di due, tre minuti riacquisterà completamente la funzione muscolare. Non si tratta solo di non avere sensazioni “spiacevoli”. Forse non tutti sanno che il corpo pesante e l’incapacità di muoversi è legata al fatto che durante l’intervento chirurgico per garantire la completa immobilità – anche quella involontaria – tra i farmaci somministrati dall’anestesista ci sono anche i miorilassanti che bloccano completamente la funzione muscolare. Per questo un paziente non è in grado di respirare autonomamente ed è intubato e ventilato. Ecco perché dopo un intervento chirurgico possono presentarsi complicanze respiratorie, perché in circolo ci sono ancora quantità di miorilassanti attivi e in grado di interferire con la respirazione», ha concluso il nostro esperto.
Che cos’è l’anestesia?
Alla nostra domanda gli esperti rispondono: «Per essere sottoposto ad un intervento chirurgico il paziente deve necessariamente ricevere un trattamento farmacologico (anestesia) che ha lo scopo di ridurre lo stato di coscienza e bloccare il dolore, proteggendo quindi l’organismo dallo stress causato dalla chirurgia. La sicurezza dell’anestesia moderna deriva dai progressi farmacologici e tecnologici e dalla particolare preparazione dell’anestesista» ; precisando poi come: «l’anestesista è appunto un medico specializzato cui è affidato il compito impegnativo di annullare il dolore, del controllo e del recupero delle funzioni vitali del paziente prima, durante e dopo l’intervento chirurgico. Essenzialmente ci sono due tipi di anestesia: l’anestesia generale mediante la quale il corpo intero è anestetizzato e l’anestesia loco-regionale con la quale solo una parte o un’intera regione del corpo viene anestetizzata. Dopo l’esame dello stato di salute del paziente e del tipo di intervento chirurgico, l’anestesista sceglie il tipo di anestesia che possa dare al paziente maggiori vantaggi e minimi rischi». Concludendo: «Attualmente ancora l’anestesia generale è il tipo più usato per la maggior parte degli interventi che richiedono l’incoscienza del paziente, il rilasciamento muscolare prolungato e per gli interventi in cui è impossibile usare l’anestesia locale come nella maggior parte dei casi dei pazienti oncologici. Durante anestesia generale tutto il corpo è addormentato e il paziente non sente nulla e non ricorda nulla dell’operazione. L’anestesia generale può essere somministrata per via endovenosa o gassosa, oppure per entrambe le vie».
Che cos’è l’anestesia loco-regionale?
Con l’anestesia regionale solo una regione specifica del corpo è anestetizzata: il dolore proveniente da tale zona viene bloccato e non arriva al cervello. Questo blocco viene ottenuto iniettando l’anestetico direttamente vicino ai nervi che portano la sensibilità dolorosa relativa alla zona sottoposta all’intervento. Ad esempio se si deve operare la mano vengono anestetizzati solo i nervi del braccio. L’anestesia loco-regionale presentadiversi vantaggi quali nel l’eliminazione del dolore senza la perdita della coscienza e una riduzione degli effetti collaterali rispetto all’anestesia generale (gola dolente, nausea, vomito e disorientamento, per citarne alcuni). Comunque bisogna essere consapevoli del fatto che le complicanze potenziali dell’anestesia loco-regionale, anche se minori e rare, possono essere altrettanto gravi di quelle da anestesia generale, come in altre terapie mediche. L’anestesia loco-regionale può essere scelta per quei tipi di interventi chirurgici che riguardano quelle zone periferiche del corpo, isolabili dalle altre (tipicamente gli arti).
Gli interventi chirurgici che di solito sono praticate in anestesia loco-regionale sono
- interventi al braccio, alla mano, alla gamba, al ginocchio e al piede;
- interventi ginecologici e ostetrici (taglio cesareo);
- interventi minori addominali (es. ernia inguinale, all’ano quali fistola ed emorroidi);
- interventi urologici.
Qual è la sua storia
La storia sembra quella di una favola, a lieto fine, che ha inizio con una grande intuizione nel 1997. Ci racconta il dottor Anton Bom il ricercatore scozzesse il padre del farmaco a cui abbiamo chiesto come è stato possibile mettere a punto questa straordinaria scoperta. «La storia, in realtà, ha origini ancora più lontane: le ciclodestrine sono state scoperte nel 1891 da Villiers. A partire dal 1930 i ricercatori hanno iniziato ad osservarne le proprietà e negli anni’50 si è arrivati a sviluppare delle ciclodestrine modificate chimicamente», ha risposto il dottor Bom. «Si tratta di molecole a forma di anello che hanno la capacità di rendere le molecole non idrosolubili in molecole che si dissolvono nell’acqua. Si formando dei complessi tra le molecole e la parte interna, entrambe insolubili, dell’anello ciclodestrinico. Questa proprietà è stata sfruttata per studiare gli effetti delle molecole insolubili in biologia e farmacologia. È stato questo il mio punto di partenza, ho provato a rendere solubile, attraverso delle soluzioni ciclodestriniche, il rocuronio, un agente bloccante neuromuscolare (curaro). La parte steroidea del rocuronio è lipofilica, il che rende difficile il suo scioglimento in acqua. Tuttavia, mettendo la parte steroidea del rocuronio all’interno dell’anello ciclodestrinico, l’agente diventa solubile in acqua e può essere usato negli studi farmacologici che utilizzano colture cellulari molto estese. Fin qui niente di speciale. Le ciclodestrine sono state utilizzate per anni come agenti vettori di farmaci non idrosolubili. Ho solo osservato quello che altri prima di me avevano fatto. Ma a questo punto ho avuto un’idea che nessun altro aveva avuto: se le ciclodestrine potevano essere usate come veicoli di trasporto, potevano anche essere utilizzate come agenti di rimozione del curaro».
La scelta del tipo d’anestesia
L’indicazione sul tipo d’anestesia è data, prima dell’intervento chirurgico, dall’anestesista sulla base della tipologia dell’intervento e dopo aver valutato lo stato di salute del paziente e aver effettuato il colloquio durante la visita anestesiologica. Nel corso di questa visita viene chiesto al paziente se assume farmaci, se soffre di allergie, se ha subito precedenti anestesie e se ha altre malattie che non risultano nella cartella clinica. Sempre in sede di colloquio l’anestesista fornisce al paziente chiarimenti ed informazioni sul tipo di anestesia che praticherà. L’anestesista sceglierà certamente il tipo di anestesia migliore per quel paziente e per quel tipo di intervento. Alla fine della visita il paziente firmerà un modulo, di consenso informato, che attesta che il paziente è stato informato sulla tecnica anestesiologica prevista per l’intervento chirurgico, cui deve essere sottoposto e che accetta. Qualora il paziente, informato sui vantaggi e sui rischi della tecnica anestesiologica, ritenuta più idonea dall’anestesista, dovesse preferire un’altra tecnica anestesiologica, spetterà all’anestesista valutarne la fattibilità in funzione delle condizioni cliniche del paziente e del grado di rischio che questa ultima comporterebbe.
Quali frontiere ha aperto la messa a punto del sugammadex, cosa ci dobbiamo aspettare nel futuro prossimo dell’anestesia?
«Attualmente ci sono già farmaci che si “accendono al bisogno” che, cioè, sono inattivi al momento della somministrazione ed esercitano la loro azione in piccoli distretti anatomici quando arrivano a destinazione. Allo stesso modo un farmaco inattivo come sugammadex è in grado di “spegnere” l’attività dei curari, farmaci bloccanti neuromuscolari steroidei. Il prossimo passo sarà lo sviluppo di farmaci che possono essere accesi o spenti a seconda delle esigenze del clinico. In via teorica si vorrebbe poter restringere l’azione o l’inazione di un farmaco in un piccolo distretto anatomico. Ad esempio si potrebbe attivare un agente anestetico solo in parti specifiche del cervello» ha chiarito il dottor Bom precisando che «dopo la somministrazione di un agente anestetico locale inattivo, si potrebbe attivare la molecola in un tratto di un nervo ed indurre il blocco nervoso con anestesia locale senza alcun blocco motorio. Il paziente potrebbe quindi scegliere una soglia per il sollievo dal dolore. I farmaci che non possono essere utilizzati perché hanno una tossicità su un determinato organo potrebbero essere nuovamente usati dato che questi farmaci non sarebbero attivati in quegli organi che risentono dell’azione tossica».
Un meccanismo d’azione totalmente innovativo
Per saperne di più sul farmaco innovativo abbiamo chiesto: qual è il suo meccanismo d’azione?
E così hanno risposto gli esperti presenti a Roma: «Antagonizza il blocco neuromuscolare indotto dai miorilassanti impiegati comunemente, rocuronio o vecuronio, in modo completamente nuovo rispetto a tutti gli altri antagonisti (neostigmina, edrofonio, piridostigmina, mediante incapsulamento e inattivazione). Questi prodotti disponibili in precedenza agiscono in modo diverso rispetto a sugammadex, spiazzando il miorilassante dal sito di legame ma non lo inattivano in modo irreversibile. Essi hanno un’azione più lenta, non antagonizzano il blocco neuromuscolare profondo e possono essere associati a diversi eventi avversi anche di non facile gestione. Infatti, questi farmaci possono causare irregolarità del battito cardiaco, la comparsa di spasmo e di aumento delle secrezione nei polmoni; l’evento più importante è però la comparsa di una ricurarizzazione sino al 20% dei casi».
Questa rivoluzione è adeguatamente entrata nelle sale operatorie italiane?
A questa domanda gli esperti presenti hanno risposto sconsolati con un «purtroppo ancora no. E le motivazioni sono diverse. Si va da un deficit culturale (c’è poca informazione anche tra gli addetti ai lavori), all’attaccamento alle proprie abitudini per esempio nel caso di anestesisti che utilizzano solo curari benzilisochinolinici, farmaci eccellenti ma che non possono avvalersi del sugammadex che antagonizza – ricordiamo – solo con i curari steroidei, altri farmaci di comprovata sicurezza e affidabilità. E poi c’è l’annosa questione dei costi Una dose di sugammadex costa sicuramente di più rispetto ad una dose di neostigmina e per questo in molti casi si sceglie ancora la via tradizionale». Precisando poi: «Ma si tratta di un risparmio apparente per due ordini di motivi. Il primo riguarda l’ottimizzazione delle sale operatorie: un paziente che recupera completamente la sua funzione respiratoria prima lascerà prima la sala operatoria, la sala risveglio, la terapia intensiva ecc. Quindi nell’arco di una giornata si possono programmare più interventi chirurgici ottimizzando così le risorse, economiche e umane. E poi ci sono i costi – non solo riferiti a quelli umani, incalcolabili – legati all’incidenza del danno respiratorio post operatorio per la curarizzazione residua ed eventuali complicanze. Bastano pochi casi prevenuti, e quindi non trattati, per far tornare i conti a tutto vantaggio del sugammadex».
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