|
Biotecnologie: dai farmaci biologici alla diagnostica, dalla chirurgia ricostruttiva ai trapianti
Lara Bettinzoli, N. 5 maggio 2012
Grazie alle biotecnologie mediche sono in atto, negli ultimi decenni, grandi cambiamenti in tutti i principali settori della medicina, dalla diagnostica con nuovi approcci strumentali e nuovi traccianti biologici, al campo dei materiali biocompatibili, che forniscono le basi agli attuali interventi nella chirurgia ricostruttiva e ai trapianti, fino ad arrivare ai farmaci biologici che agiscono in modo estremamente mirato. Con le conquiste della genetica e della biologia molecolare, si stanno svelando sia i meccanismi che sono alla base del funzionamento del nostro organismo, sia le modalità con cui le malattie aggrediscono ogni singolo individuo. Abbiamo approfondito l’argomento con il Prof. Massimo Locati, responsabile del Laboratorio di Biologia dei Leucociti dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e docente all’Università degli Studi di Milano.
Quando si è iniziato a parlare di biotecnologie? Cosa sono esattamente e quali applicazioni hanno nel settore Medicina?
«In senso stretto Biotecnologie significa “tecnologie della vita”. Il mondo delle biotecnologie, applicato a vari settori nei quali hanno diverse specificità, mediche, agrarie, veterinarie, farmaceutiche, sfrutta i processi biologici per produrre prodotti biotecnologici applicabili ai diversi settori. I processi biologici che vengono riprodotti attraverso l’approccio tecnologico preesistono; in questo senso le biotecnologie nascono con la biologia. Storicamente, si ritiene che per quanto riguarda le biotecnologie mediche, la produzione di molecole di proteine ricombinate che si possono usare in campo medico rappresenti l’inizio, ecco perché si fa risalire la nascita delle biotecnologie più o meno attorno alla fine degli ani’70 con la generazione di insulina ricombinante che ha cambiato l’approccio terapeutico per i pazienti diabetici. Successivamente ci sono state varie tappe nelle biotecnologie mediche che hanno segnato un percorso storico. Una di queste, relativamente all’ambito di tipo oncologico, è dato della capacità delle biotecnologie di generare anticorpi monoclonali (ossia anticorpi che hanno una estrema specificità di riconoscimento, cioè un bersaglio ben definito)».
Quali possibilità offrono le biotecnologie nella prevenzione oncologica, o meglio nella diagnostica precoce?
«Gli anticorpi monoclonali hanno cambiato il mondo della medicina in generale, ed in particolare dell’oncologia, in maniera molto significativa sostanzialmente per la loro applicazione in campo diagnostico e terapeutico. In ambito diagnostico, ad esempio, la capacità degli anticorpi monoclonali di riconoscere in maniera selettiva un certo target ci informa sull’identità molecolare di cellule patologiche, ci dice esattamente le caratteristiche molecolari di un determinato tumore e, se coniugati a dei traccianti, attraverso metodologie di medicina nucleare ci consentono anche di visualizzare la localizzazione delle cellule tumorali. In ambito terapeutico, invece, l’anticorpo monoclonale consente di veicolare in modo preciso al suo target cellulare una molecola capace di uccidere la cellula tumorale, quindi rende specifica l’attività di un composto che altrimenti non avrebbe specificità, perché la direziona precisamente sul suo bersaglio, oppure riconoscendo il target può indurre l’ospite stesso a riconoscere e attaccare specificamente quel target cellulare».
Quale è la differenza tra un farmaco tradizionale e un farmaco biotecnologico?
«Una delle differenze è sicuramente la specificità. I farmaci tradizionali possono essere specifici oppure possono avere un meccanismo d’azione molto ampio, i farmaci biologici hanno sempre una definita specificità. Essendo più specifici dei farmaci tradizionali i farmaci biologici hanno di norma effetti collaterali meno frequenti e importanti. I farmaci biotecnologici sono però molecole complesse da generare, mentre i farmaci tradizionali sono normalmente, dal punto di vista chimico, molecole molto più semplici. Ne consegue che uno dei limiti degli approcci basati sui farmaci biotecnologici è di solito quello dei costi, significativamente superiori. Possiamo riassumere dicendo che rispetto a quelli tradizionali i farmaci biotecnologici sono quindi più “precisi”, spesso meno tossici e meglio tollerati, ma generalmente più costosi».
Potrebbe descrivere in termini generali i principi di alcuni farmaci più conosciuti (citochine, interferone, interleuchine, colony stimulating factor, anticorpi monoclinali, terapia genetica contro il cancro)?
«Citochine, interleuchine, interferoni, colony stimulating factor sono nomi diversi che indicano famiglie di molecole differenti, che hanno però in comune la funzione di mediatori intercellulari, ossia molecole proteiche che una cellula rilascia e che agiscono come un messaggero a distanza su una seconda cellula. In questo senso assomigliano agli ormoni, ma mentre questi agiscono a distanza (alcuni ormoni prodotti dalla nostra ipofisi nel cervello ad esempio agiscono sulle ghiandole surrenali), le citochine sono dei mediatori che consentono la comunicazione tra cellula e cellula nel contesto tissutale in cui un certo processo si sviluppa. Quando questo tipo di concetto si applica a mediatori che mettono in comunicazione cellule del sistema immunitario con altre dello stesso sistema si parla di interleuchine, molte delle quali sono responsabili del coordinamento della risposta immunitaria ad esempio attraverso l’attivazione dei linfociti. I colony stimulating factors sono un’altra famiglia di citochine e agiscono principalmente sul midollo osseo dove controllano la generazione e il rilascio nel sangue di popolazioni leucocitarie. Gli interferoni, invece, sono le molecole coinvolte nella risposta ai virus».
Lotta all’HIV, nuove terapie per la lotta al tumore, trattamento delle patologie neuro degenerative: dove abbiamo raccolto i migliori risultati finora e quali gli sviluppi previsti?
«Il primo grande successo dei farmaci biologici lo si è avuto in ambito reumatologico. Oggi i pazienti affetti da artrite reumatoide vengono trattati con vari farmaci biologici che bloccano una particolare citochina, il TNF, (Tumor Necrosis Factor), che è al centro di questo processo, con una prognosi molto migliorata rispetto anche al recente passato dell’era pre-biologici. Successivamente queste stesse molecole si sono dimostrate utili anche in altri ambiti (ad esempio i bloccanti del TNF, che curano l’artrite reumatoide, hanno anche effetti terapeutici in una frazione di pazienti che hanno patologie infiammatorie croniche intestinali o in malattie cutanee). Un secondo ambito è sicuramente quello oncologico, dove come detto i farmaci biologici vengono utilizzati perché svolgono un’attività biologica diretta, ma anche con finalità diagnostiche. In futuro avremo a disposizione un numero crescente di farmaci biologici, siano essi molecole ricombinanti piuttosto che anticorpi monoclonali; se sapermo guidare l’uso di queste risorse grazie ad una migliore comprensione della patogenesi delle malattie avremo sicuramente molti importanti ambiti clinici in cui questi farmaci potranno essere utili».
Biotecnologie e le nuove applicazioni delle nanotecnologie hanno un ruolo sinergico in medicina. Cosa dobbiamo aspettarci dalla ricerca?
«Le nanotecnologie sono un altro orizzonte del futuro. Sono prevalentemente di competenza ingegneristica, prevedono un elevata integrazione tra il mondo della biologia e quello della ingegneria dei materiali. È un ambito promettente».
Farmaci biologici, quando e perché funzionano
In campo oncologico i farmaci biologici di ultima generazione stanno ottenendo risultati estremamente interessanti. Le nuove molecole agiscono sulla crescita del tumore, bloccando la formazione di alcune proteine che hanno un ruolo chiave in questo processo. Inibiscono, così, lo sviluppo delle cellule cancerose. Il primo farmaco biologico utilizzato è stato l’herceptin, che si è rivelato utile nel ridurre, in oltre il 50% dei casi, il rischio di recidiva nel tumore mammario operabile. Mentre tra i più recenti c’è il lapatinib, che si sta dimostrando efficace nel contrastare la comparsa di metastasi da tumore della mammella. Esistono molecole che vengono impiegate con successo contro il tumore al colon (cetuximab, bevacizumab) e altre (sunitinib, sorafenib) che hanno aperto nuove prospettive per la cura dei carcinomi renali e al fegato, per i quali fino a poco tempo fa c’erano pochissime possibilità terapeutiche. Per il carcinoma del fegato, uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, cui ha partecipato attivamente il Dipartimento di Oncologia dell’Humanitas, ha dimostrato l’efficacia di una molecola (sorafenib) nel bloccare la progressione di questo tumore e nell’aumentare la sopravvivenza dei pazienti sottoposti alla terapia. Precedentemente, al di fuori delle terapie locali (chirurgia, radiofrequenza, embolizzazione), non esisteva nessun farmaco in grado di modificare l’evoluzione dell’epatocarcinoma. Inoltre, sono stati recentemente annunciati i risultati di uno studio clinico con il primo farmaco biologico orale, l’erlotinib, che ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma polmonare in fase avanzata, malattia che ancora oggi è la prima causa di morte per cancro nel mondo e che mediamente, nei soggetti con metastasi, ha un’attesa di vita che non supera i dieci mesi. Lo studio è stato guidato dall’oncologo Federico Cappuzzo: «È noto da circa tre anni che l’erlotinib prolunga in modo significativo la sopravvivenza dei pazienti affetti da neoplasia polmonare, contribuendo a rallentare la progressione della malattia e riducendo anche il manifestarsi dei sintomi più dolorosi ad essa collegati, come la tosse e le difficoltà respiratorie. Grazie a questa molecola, l’aspettativa di vita è significativamente aumentata ed in alcuni pazienti con particolari caratteristiche biologiche la sopravvivenza mediana è praticamente raddoppiata. Lo studio da noi condotto ha dimostrato che l’erlotinib dato al termine dei “classici” 4-6 cicli di chemioterapia riduce significativamente il rischio di progressione tumorale, rispondendo in tal modo ad una frequente richiesta del paziente che desidera una terapia di mantenimento che rispetti la sua qualità di vita. Infatti, l’assunzione che avviene semplicemente attraverso una pillola permette al malato di curarsi a casa: aspetto, questo, non possibile con la chemioterapia tradizionale. Esiste un altro aspetto estremamente interessante messo in evidenza dalle ricerche su questa molecola: i pazienti che rispondono meglio alla terapia sono quelli che hanno una particolare mutazione genetica, presente in circa il 10% dei malati». Un’ulteriore conferma che le indagini genetiche possono offrire preziose informazioni sulle caratteristiche delle patologie e, quindi, incoraggianti prospettive di cura.
L’Associazione Assobiotec
Assobiotec è una associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie costituita nel 1986 all’interno di Federchimica con la missione di sostenere e promuovere lo sviluppo delle biotecnologie in tutte le aree di applicazione, che spaziano dalla salute al benessere, dalla medicina veterinaria alla zootecnia, dall’agricoltura all’alimentazione, dall’ambiente ai processi industriali, dai biomateriali alle bioenergie, dall’edilizia al restauro. Per promuovere lo sviluppo delle biotecnologie, Assobiotec ha una intensa attività di relazioni con le istituzioni, nazionali e regionali, e con gli organismi europei. L’Associazione interagisce e collabora inoltre con le organizzazioni imprenditoriali, gli istituti scientifici e le associazioni dei pazienti e dei consumatori. Tra le aree di intervento dell’Associazione, hanno una rilevanza particolare quelle relative alla:
- promozione di programmi di ricerca di interesse strategico per il comparto definizione delle misure finanziarie e fiscali idonee a favorire l’innovazione regolamentazione delle attività biotecnologiche (ricerca e sviluppo, produzione, commercializzazione e utilizzo dei prodotti, tutela dei prodotti frutto dell’innovazione biotecnologica a 360°
- è attiva nel promuovere la partecipazione delle imprese italiane alle attività di ricerca e sviluppo biotecnologico finanziate dall’Unione Europea nell’ambito dei Programmi-Quadro e nel rafforzamento della collaborazione tra istituzioni di ricerca e piccole-medie imprese.
Professor Massimo Locati
Il Professor Massimo Locati si laurea summa cum laude in Medicina e Chirurgia presso l’Università dagli Studi di Milano e si specializza in Tossicologia presso la stessa Università. Dal 1996 al 1997 è Visiting Fellow nel Laboratory of Host Defenses del National Institutes of Health (Bethesda, USA). Dal 1998 al 2001 è ricercatore universitario presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Brescia e successivamente si trasferisce all’Università degli Studi di Milano, ove attualmente è attivo in qualità di Professore Ordinario presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale. Dirige inoltre il Laboratorio di Biologia dei Leucociti presso l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. La propria attività di ricerca è volta allo studio di meccanismi di regolazione della risposta infiammatoria e in questa area di ricerca ha fornito importanti contributi in particolare con l’identificazione di nuove chemochine e loro recettori, la definizione del signalling dei recettori chemochinici e del suo ruolo nell’infezione da HIV-1, lo studio del loro ruolo in patologia sperimentale e umana, l’identificazione dei recettori decoy per chemochine. Su queste aree di ricerca è titolare di vari progetti di ricerca finanziati da strutture pubbliche e private, sia nazionali che estere, ed ha al proprio attivo numerose pubblicazioni su riviste internazionali peerreviewed.
Prof. Massimo Locati
Tel. 02.8224.2446
E-mail: smassimo.locati@humanitas.it
Cosa sono le nanotecnologie. Istruzioni per l’uso della prossima rivoluzione scientifica
Le nanotecnologie permettono di manipolare la materia a livello molecolare e atomico, sulla scala di 1 milionesimo di metro. Già nel 1959 il premio Nobel per la Fisica Richard Feynman intravedeva la possibilità di trascrivere l’intera Enciclopedìa Britannica sulla punta di uno spillo, ma nel prossimo ventennio le nanotecnologie sono destinate a sorprenderci in ben altro modo, e nei campi più disparati: computer potentissimi, asfalti capaci di abbattere l’inquinamento stradale, nanoetichette per farmaci che consentono dosaggi personalizzati. In effetti, senza che ce ne siamo accorti, diverse applicazioni nanotecnologiche fanno già parte della vita quotidiana: dobbiamo averne paura o aprire fiduciosi le porte di casa a questa tecnologia? D’altro canto, la progettazione e la produzione di nanocomponenti è tutt’altro che futuribile e l’Italia potrebbe fare da subito la sua parte: dobbiamo restare a guardare quel che succede all’estero o investire risorse in questo settore? Partendo dal contesto tecnoscientifico ed economico dei primi anni Novanta, quando cominciò la progettazione di materiali e dispositivi “nano”, l’autore racconta la storia delle nanotecnologie e ne descrive le prospettive future, distinguendo il possibile dall’impossibile.
di Dario Narducci, Sironi Editore, 2008
Biotecnologie e frontiere della medicina
La ricerca biotecnologica ha assunto un’importanza sempre maggiore nelle diverse branche medico-chirurgiche, contribuendo già ora, e sicuramente ancor più nel prossimo futuro, a progressi in ambito diagnostico e terapeutico fino a poco tempo fa largamente inimmaginabili. Un gruppo di eminenti studiosi delle facoltà di Medicina e Chirurgia della “Sapienza” di Roma, impegnati in prima linea nella ricerca biotecnologica, ha voluto dar conto dei suoi più recenti risultati teorici e applicativi, in un’ottica non settoriale e specialistica ma selezionando una gamma di argomenti particolarmente significativi per le loro ricadute, così da offrire un panorama esemplificativo che possa interessare non solo gli “addetti ai lavori” ma anche il più vasto pubblico dei medici generici, degli studenti e delle persone meno esperte. Finalità dell’opera è mostrare non solo come la ricerca biomedica consenta di comprendere sempre più a fondo i meccanismi molecolari e cellulari alla base dei processi biologici e patologici, ma anche, e soprattutto, di controllarli e correggerne i difetti.
Mondadori Università, 2009
L’Associazione Nazionale dei Biotecnologi Italiani
L’Associazione Nazionale dei Biotecnologi Italiani (ANBI) è un’associazione non profit di Biotecnologi attivi nella valorizzazione della propria scelta professionale, nella promozione dello sviluppo delle biotecnologie e della ricerca scientifica, nell’innovazione dei rapporti scienza e società. L’ANBI è l’associazione professionale di riferimento per i biotecnologi che operano in Italia. L’Associazione è nata nel 2001 dall’esperienza del Coordinamento Nazionale dei Studenti in Biotecnologie (CNSB – www.cnsb.it ), con la volontà di affermarsi fin da subito nel panorama nazionale nella promozione e nella valorizzazione della nascente figura del biotecnologo. L’obiettivo dell’ANBI è creare opportunità di crescita scientifica, professionale e culturale per i giovani laureati del settore attraverso la creazione di una rete di interazione con istituzioni, centri di ricerca, parchi scientifici e aziende che operano nell’ambito delle Life Sciences. Nel 2002 l’ANBI è stata fra i fondatori dello Young European Biotech Network (YEBN – www.yebn.org ), una rete di Associazioni professionali. Il forte ruolo politico che l’ANBI sta esercitando in questi anni è tuttora finalizzato ad ottenere un reale riconoscimento professionale per la figura del biotecnologo. L’ANBI ha raccolto le proprie attività attorno a 3 temi cardine per la crescita della figura professionale dei biotecnologi: Identità, Servizi, Opportunità. Questi temi richiamano il codice ISO, un’assonanza che vuole indicare come l’ANBI si assuma un impegno preciso a garantire ai propri soci e a i propri partner elevata qualità che, soprattutto nel settore delle life sciences, è essenziale per vincere la sfida dello sviluppo e della crescita professionale.
Torna ai risultati della ricerca
|