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Vaccinazione HPV: l’Italia è terza in Europa, ma molto resta ancora da fare
Paola Sarno, N. 5 maggio 2012
Alla fine dell’anno (salvo proroghe al 2015) terminerà la campagna vaccinale contro il Papilloma Virus umano (Hpv) e già si fanno i primi bilanci. Il nostro Paese sebbene abbia ottenuto il terzo posto in Europa, è ancora lontana dall’obiettivo fissato dall’Intesa Stato-Regioni che prevede una copertura vaccinale del 95% della popolazione target. La copertura media nazionale raggiunta per le ragazze della coorte di nascita 1997-1998 per le 3 dosi di vaccino è stata pari al 65%. Un risultato che ci colloca soltanto dopo quello del Regno Unito ( 81%) e del Portogallo ( 80%) e del quale dobbiamo andare fieri se si pensa che in Paesi come la Francia, il Lussemburgo e la Norvegia la copertura raggiunta si attesta fra il 17 e il 30%. Tuttavia, l’Italia stenta ancora a pronunciare un sì deciso alla vaccinazione contro l’Hpv. Come mai? Le cause sarebbero da ricercare nella scarsa informazione sull’importanza della prevenzione primaria e secondaria, benché sull’argomento siano state svolte già tante campagne di sensibilizzazione e attività di comunicazione. A mettere in evidenza luci ed ombre della vaccinazione Hpv nel nostro Paese sono stati i risultati di un’indagine qualitativa promossa da Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) presentata a Roma in occasione della settimana europea della prevenzione del carcinoma della cervice uterina.
L’indagine dell’osservatorio nazionale sulla salute della donna
Lo studio di Onda ha coinvolto 40 donne che, negli ultimi cinque anni, hanno dovuto affrontare le conseguenze di una diagnosi infausta in tre città italiane (Milano, Bari e Roma). «L’indagine – ha spiegato Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio – ha mostrato un sentimento di paura generalizzato proprio verso l’Hpv e il Pap Test positivo, che si riflette sia sulla sfera personale della donna, che prova vergogna, senso di colpa, chiudendosi nel silenzio anche con il partner, sia sulla sfera sessuale, portandola a rinunciare anche a rapporti intimi per lunghi periodi, o a temere per gravidanze future e per possibili ricadute della malattia. È solo l’aver vissuto e conosciuto la malattia che aumenta la consapevolezza della donna – ha proseguito Merzagora – portandola a interessarsi a tutto quanto ruota attorno al tumore della cervice, vale a dire una migliore conoscenza della malattia e delle forme di prevenzione e protezione, anche vaccinali, per sé e le proprie figlie».
HPV: una diagnosi psicologicamente difficile per la donna
Ogni anno in Italia a 17mila donne viene diagnosticata una lesione precancerosa (le più pericolose si chiamano Cin 2 e Cin 3), campanello d’allarme per lo sviluppo di un tumore grave, il carcinoma della cervice uterina. Si tratta di una diagnosi difficile da accettare per una donna, non solo per la paura degli interventi chirurgici cui si dovrà sottoporre, ma anche perché riguardando la sfera più intima della sua femminilità può incidere negativamente a livello psicologico, innescando un senso di disagio, di colpa, di timore per la capacità di poter avere un figlio in futuro e per le stesse possibili ricadute della malattia. Tuttavia, anche a fronte di ciò, l’ulteriore vantaggio che il vaccino avrebbe nella prevenzione delle lesioni precancerose, vale a dire il primo gradino di un possibile processo di cancerogenesi, non viene ancora completamente compreso. Proprio per questo è necessaria una più efficace sensibilizzazione all’Hpv e una maggior chiarezza da parte degli operatori sanitari anche nel comunicare la diagnosi al momento di un Pap Test o di un Hpv test positivo.
Soddisfazione per l’assistenza medica ma anche tante difficoltà
La ricerca di Onda registra, comunque, anche la soddisfazione per l’assistenza medica ricevuta (rilevata nel 75% delle donne intervistate), mentre il 50% delle donne resta critica riguardo alle modalità di comunicazione della diagnosi, lamentando l’approccio impersonale degli operatori sanitari, una difficoltà nel comprendere la terminologia dei medici, la mancanza di accompagnamento nel follow-up. Altri nodi critici rilevati dalle donne riguardano la mancanza di chiarezza dei referenti indicati, spesso evasivi nel dare risposta a loro dubbi e perplessità e a guidarle nella scelta vaccinale (ancora oggi timidamente raccomandata dagli stessi specialisti). «In generale – ha commentato Fausto Boselli, Segretario Generale della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale e Responsabile del Servizio di Ginecologia Preventiva, Dipartimento Materno Infantile dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia – emerge un forte impatto emotivo della donna sia al momento della diagnosi del referto di Pap-test anormale, di cui spesso non ne comprende la terminologia, sia al momento della comunicazione e condivisione del percorso diagnostico-terapeutico legato alla diagnosi. Occorre, cioè, che il ginecologo dedichi più tempo a spiegarne tutti gli aspetti con un linguaggio adeguato e rassicurante che abbia anche l’intento di aumentare la consapevolezza dell’importanza della vaccinazione Hpv nella prevenzione di questa patologia».
Necessarie nuove modalità di intervento
«Occorre identificare strategie di intervento per la prevenzione primaria e secondaria al fine di diagnosticare la malattia in una fase precoce e aumentarne la guaribilità», ha aggiunto al riguardo Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Per l’Hpv, in particolare, la prevenzione secondaria è assicurata dal Pap test e dal test per Hpv, e quella primaria da due vaccini: uno contro i tipi virali 6, 11, 16, 18 e un secondo contro i tipi 16 e 18. Questi ultimi due sono ad alto rischio oncogeno, e responsabili da soli di circa il 7 per cento di tumori della cervice uterina, del tumore della vagina e di un terzo dei tumori della vulva. Il vaccino contro l’Hpv è il primo, espressamente utilizzato per prevenire una malattia oncologica, indirizzato a proteggere le ragazzine prima dell’esordio sessuale da un terribile cancro che colpisce l’area riproduttiva con ripercussioni sulla possibilità procreativa e sulla sfera personale, di coppia e familiare».
Decisivo formare i medici a comunicare meglio
E, secondo Maria Grazia Pompa, direttore dell’Ufficio V, Malattie Infettive e Profilassi Internazionale del Ministero della Salute, per raggiungere l’obiettivo della copertura vaccinale fissata dall’Intesa Stato-Regioni la comunicazione è elemento cardine del “contratto” terapeutico, mentre la formazione dell’operatore ne è un presupposto fondante. «Desta non poco disappunto – ha osservato, in conclusione Maria Grazia Pompa – la scarsa incompleta o errata informazione in merito alla vaccinazione, non tanto nella popolazione generale o femminile, quanto tra i professionisti sanitari. Ovviamente non si ignorano, né si nascondono i limiti del vaccino anti-Hpv, in particolare il fatto che la vaccinazione, pur prevenendo le infezioni dai virus Hpv responsabili della maggior parte di lesioni/patologie a carico della cervice dell’utero, non previene le infezioni da tutti i tipi di Hpv ad alto rischio oncogeno». Al riguardo, il Ministero della Salute ha voluto ribadire la sua posizione che è sempre stata quella di promuovere e sostenere i programmi di screening organizzato ed il suo impegno che resta volto ad aumentarne la copertura, favorendo l’accesso al test e l’adesione alla vaccinazione in tutte le aree del Paese.
I ragazzi di Brescia favorevoli al vaccino anti-HPV
«La vaccinazione contro il papilloma virus non può più essere considerata solo come una procedura riservata alle donne, ma va intesa come un atto di prevenzione universale». È quanto ha sostenuto Luciano Mariani, Ginecologo Oncologo dell’istituto Nazionale Tumori Regina Elena Di Roma. La principale arma di difesa nell’uomo contro il papilloma virus è la prevenzione attraverso la vaccinazione che però, al momento, in Italia viene proposta in maniera completamente gratuita soltanto alle giovani donne. L’Università di Brescia, con il patrocinio della Regione Lombardia, ha recentemente promosso un’inchiesta con l’obiettivo di comprendere meglio la fattibilità di un’offerta di vaccinazione anche al sesso maschile. In particolare, è stata avviata una ricerca pilota sull’accettabilità dei ragazzi attraverso un’informativa inviata a 1.100 famiglie di tre comuni del bresciano con figli adolescenti maschi tra gli 11 e i 15 anni. E, ben il 97% degli interpellati ha concesso l’adesione e si è detto favorevole a sottoporsi alla vaccinazione contro lo Human papilloma virus (Hpv). «L’introduzione di una campagna vaccinale su larga scala per gli uomini – ha concluso il ginecologo oncologo del Regina Elena – avrebbe come risultato principale la riduzione dell’incidenza di malattie molto serie, permettendo la tutela della popolazione maschile, totalmente esclusa finora dai benefici dell’immunizzazione femminile».
Dalla Cina arriva il test fai-da-te per l’HPV
L’ 85% delle donne con cancro alla cervice uterina si trova nei Paesi in via di sviluppo, dove gli screening preventivi sono molto meno diffusi che in quelli “avanzati”. E, in Cina, dove non esiste neanche un programma nazionale di prevenzione, risiede ben un settimo della popolazione femminile con questo tumore. Per semplificare il ricorso al test a Gaithersburg nel Maryland (USA) la Qiagen ha sviluppato un kit diagnostico fai-da-te. Il nuovo test è stato collaudato dall’Università di Beijing e dalla Mount Sinai School of Medicine di New York e i risultati pubblicati sul Journal of the National Institute of Cancer. l test fai-da-te è stato provato su un campione di 13.140 donne cinesi alle quali è stato dato un kit, che permetteva loro di raccogliere da sole campioni di tessuto da analizzare. Poi le pazienti sono poi state sottoposte alle metodiche tradizionali di indagine. Nel caso del kit per l’autodiagnosi la percentuale di risultati positivi alle lesioni correttamente identificati, è risultata essere dell’ 86,2% per la lesione precancerosa Cin2 e dell’ 86,1% per la lesione Cin3. Dati del tutto in linea con quelli forniti dai tradizionali mezzi diagnostici. Secondo Fang-Hui Zhao, ricercatore a Beijing e co-autore dello studio, il test fai-da-te rappresenterebbe una possibilità per il futuro dello screening preventivo per l’Hpv, perché potrebbe essere distribuito a ogni donna, a prescindere se questa abbia accesso diretto alle strutture sanitarie del proprio Paese.
SOS ovaio: un progetto per “comunicare la consapevolezza”
Un ospedale sempre più rosa, l’Istituto Oncologico Veneto (IOV) al quale sono stati attribuiti per il biennio 2012-2013 “tre bollini rosa”, il massimo riconoscimento dell’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (Onda), conferito a quelle strutture ospedaliere al top in fatto di prestazioni, assistenza e ricerca destinate in modo specifico alle donne. Inoltre Onda e Roche hanno premiato con una borsa di studio l’attività di una giovane ricercatrice, Maurizia Dalla Palma, oncologa presso l’UOC Oncologia Medica 1° dell’Istituto Oncologico Veneto, per il progetto di ricerca intitolato “SOS Ovaio: lavoriamo per aumentare la consapevolezza delle donne nei confronti del tumore ovarico”, che avrà l’obiettivo di prendere in considerazione lo stato attuale e l’incidenza della patologia sul territorio, attuando un confronto fra le attività di advocacy italiane ed europee per una migliore conoscenza ed informazione su questa patologia nella popolazione femminile. Il tumore ovarico sul quale le donne italiane non hanno le idee ben chiare è una neoplasia inesorabile perché asintomatica. E, proprio a causa della difficoltà di fare diagnosi precoci, ogni anno in Italia ne vengono diagnosticati oltre 5.000 nuovi casi, il 70% dei quali in fase avanzata, cioè quando il tumore ha già superato l’ovaio e si è diffuso agli annessi pelvico-addominali. Gilberto Corbellini, presidente del comitato scientifico di Onda ha ricordato che da una ricerca dell’Osservatorio è emerso che su 504 donne italiane il 33% non è in grado di distinguere in maniera chiara fra tumore ovarico e tumore dell’utero, il 40% non sa come prevenirlo e diagnosticarlo precocemente ed il 69% ritiene che non se ne parli a sufficienza. Per questo Onda e Roche hanno voluto promuovere nuove strategie di comunicazione e la sensibilizzazione della popolazione femminile. «Vi è una chiara necessità – ha spiegato, infatti, Maurizia Dalla Palma – di agire per aumentare la consapevolezza fra le donne nei confronti di una neoplasia così aggressiva e ancora misconosciuta, quale è il tumore dell’ovaio. Credo che il Centro in cui lavoro, impegnato nell’offrire l’assistenza clinica più avanzata ai malati oncologici, oltre che garantire tutti gli aspetti correlati alla prevenzione e alla ricerca, rappresenti la sede migliore per la realizzazione di tale progetto. La nostra intenzione è quella di rivolgersi non soltanto alle pazienti, ma anche alla popolazione femminile in generale, con il duplice obiettivo di fornire una informazione adeguata e capillarizzata e dall’altro sensibilizzare all’importanza di conoscere le patologie che possono interessare l’apparato ginecologico, tra cui anche il tumore dell’ovaio, ed i necessari accertamenti e esami specifici a cui sottoporsi». Tuttavia l’informazione dovrebbe essere sostenuta anche dall’identificazione di un percorso terapeutico e di Linee Guida aggiornate e condivise, l’identificazione di Centri di Riferimento regionali per la diagnosi e cura e la formazione di specialisti in ginecologia-oncologica.
Scende del 7% la mortalità per tumore al seno fra il 2002 e il 2006
Il tumore al seno rimane la principale causa di mortalità per cancro nelle donne della Ue, ma aumenta, anno dopo anno, anche la sopravvivenza. Secondo uno studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Istituto “Mario Negri” e pubblicato su The Breast, tra il 2002 e il 2006, il tasso di mortalità per tumore della mammella è diminuito del 7%, passando da 17,9 a 16,7 donne ogni 100.000 (tasso standardizzato per età secondo la popolazione mondiale). Le diminuzioni più forti sono state registrate nei Paesi del Nord Europa ( -38% nel Regno Unito), mentre sono state più recenti e più modeste nei Paesi del Centro ed Est Europa, dove la mortalità è risultata in crescita fino alla metà/fine degli Anni 90. La riduzione della mortalità è stata inoltre più evidente nelle donne giovani ( -11,6% tra i 20 e 49 anni nella Ue), mentre era più ridotto con l’avanzare dell’età ( -6,6% a 50-69 anni, -5% a 70-79 anni). Un trend positivo già iniziato del decennio precedente: la mortalità per tumore della mammella, infatti, è diminuita di oltre il 15% nella Ue dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni 2000. In Italia, la riduzione nella mortalità totale è stata del 7,5% nel quinquennio considerato. Nel 2007, la mortalità è stata di 16,2 donne ogni 100.000, con 11.916 decessi. Passi in avanti dovuti ai progressi terapeutici che fanno sperare una ulteriore diminuzione della mortalità soprattutto nelle giovani donne nel quadriennio 2006-2012.
Possibile curare il tumore in gravidanza anche con la chemio
Le donne affette da tumore al seno che sono in attesa di un figlio possono combattere il cancro sia con la chirurgia sia con la chemioterapia con l’obiettivo primario di concludere la gravidanza nei termini naturali. È quanto emerge da un documento pubblicato su The Lancet che fa luce sui questi problemi. Nell’articolo Frederic Amant, medico del Breast Cancer Center al Leuven Cancer Institute della Katholieke Universiteit Leuven in Belgio, suggerisce come affrontare al meglio una situazione patologica così delicata. «La diagnosi tardiva – sostiene Amant – è tendenzialmente causata dal fatto che i normali cambiamenti fisiologici della gestazione, come l’aumento di dimensione di seni e capezzoli, possono oscurare i sintomi del tumore al seno a gli occhi della donna e persino del suo medico. Infatti, secondo i dati raccolti dalla nostra ricerca, la malattia in gravidanza è solitamente diagnosticata più tardi, rispetto a quanto avviene nelle donne non gravide e con stati di avanzamento della malattia e risultati terapeutici peggiori. L’attenzione deve quindi essere massima anche durante i nove mesi». Sconsigliata invece la radioterapia in gravidanza perché rende difficile proteggere la salute del feto. La chemio può essere usata dopo il 2°-3° trimestre. A conforto di ciò lo studio conferma che l’uso della chemioterapia in gravidanza non è nocivo per il bambino, poiché spiega come non sia vero che la chemio durante la gravidanza abbia ripercussioni negative sul cervello o sul sistema cardiocircolatorio dei feti, se questa non viene intrapresa prima delle 12 settimane di gestazione. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno controllato il livello di sviluppo mentale e fisico di 70 bambini nati da madri che avevano effettuato la chemioterapia durante la gravidanza. Lo studio è iniziato nel 2005, e tutti i partecipanti avevano dai 18 mesi ai 18 anni. Gli scienziati hanno così dimostrato che le capacità di questi bambini e ragazzi erano simile a quelle degli altri, tranne quelli nati pretermine, che presentavano un quoziente intellettivo più basso in media di 12 punti per ogni mese di prematurità. I problemi, dunque, non sembravano derivare dalla chemioterapia. Nella pratica si può dunque cominciare a sottoporre le pazienti a chemioterapia già a partire dalla 14esima settimana di gestazione, mantenendo però sotto controllo sia madre che feto durante tutto il resto della gravidanza. «È importante – ha concluso Amant – che le donne capiscano che è più pericoloso portare al termine la gravidanza senza intervenire in alcun modo sulla malattia e che le nuove conoscenze acquisite aumentano le speranze di salvare la vita alla madre e al bambino». Per essere del tutto sicuri che non ci siano ripercussioni in età avanzata i ricercatori hanno già annunciato di aver programmato un follow-up ancor più lungo. In particolare gli scienziati belgi vogliono verificare che questi bambini non presentino problemi di fertilità una volta cresciuti, o un rischio maggiore di sviluppare cancro a loro volta.
Indirizzi utili
O.N.DA – OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA SALUTE DELLA DONNA
Foro Buonaparte, 48 20121 Milano
Tel. 02.29015286
Email: info@ondaosservatorio.it prenotazioni@ondaosservatorio.it
Per ricevere informazioni generali sul Programma
Bollini Rosa: info@bollinirosa.it
ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA IRCCS
Via Elio Chianesi, 53 00144 Roma
Prenotazioni/informazioni: 06.52662727 – 800.986868 Centralino: 06.52661
www.ifo.it
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