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Eternit: con la storica sentenza non si esaurisce il pericolo

Paola Sarno, N. 5 maggio 2012

È arrivata quella che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha salutato come “una sentenza storica non solo per l’Italia”. Quella del processo Eternit che, dopo due anni di lavori processuali e sessantasei udienze, ha condannato a 16 anni di reclusione i due manager della multinazionale belgo-svizzera Ghislain De Marchienne De Cartier e Stephane Ernst Schmidheiny per “disastro ambientale, di carattere doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche”. Motivi per i quali circa 2.000 persone sono morte nell’arco di quarant’anni. E tanto resta ancora da fare per bonificare i siti contaminati dall’amianto e rendere inoffensivo questo materiale che ai primi del ‘900 sembrava promettere “eternità”. Ma che cos’è questo materiale derivato dall’amianto (asbesto) e perché è così pericoloso per la salute umana? Si tratta di un minerale molto comune in natura, formato da sottilissime fibre di silicio. La sua resistenza al calore e la sua struttura fibrosa lo rendono adatto come materiale per indumenti e tessuti da arredamento a prova di fuoco, ma la sua ormai accertata nocività per la salute a portato a vietarne l’uso in molti Paesi. Le polveri contenenti fibre di amianto, infatti, se respirate possono causare malattie incurabili fra le quali l’asbestosi, prima malattia professionale ufficialmente riconosciuta. Successivamente è stato scoperto che l’amianto è responsabile anche di patologie oncologiche, come i tumori della pleura (i mesoteliomi pleurici) e il carcinoma polmonare, essendone la causa principale fra quelle dovute a motivi di lavoro. Non esiste una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non sia pericolosa: teoricamente l’inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie letali, tuttavia un’esposizione prolungata nel tempo o a elevate quantità aumenta esponenzialmente il rischio. Secondo l’Oms, già poche fibre di amianto per metro cubo d’aria possono provocare un caso di tumore alla pleura per 100mila persone l’anno. E, in alcuni edifici italiani è stata riscontrata una concentrazione di 10mila fibre per metro cubo. L’amianto è stato impiegato a partire dai primi del secolo scorso fino agli anni Ottanta per produrre una miscela di cemento-amianto. In particolare l’Eternit, il marchio di fibrocemento non più in commercio dal 1994, brevettato dall’austriaco Ludwig Hatschek nel 1901 venne battezzato con un nome che voleva sottolinearne l’elevata resistenza suggerendo appunto, “eternità”. Nel 1902 il commerciante Alois Steinmann acquistò la licenza per al produzione e aprì nel 1903 a Niederurnen in Germania il primo insediamento produttivo. Da allora l’Eternit è stato utilizzato per un’infinità di usi: coibentazione di edifici, tetti, navi, treni, ma soprattutto come materiale per l’edilizia (tegole, pavimenti, tubazioni di acquedotti, vernici, canne fumarie), ma anche nelle vernici e nelle parti meccaniche della produzione automobilistica, per la fabbricazione di corde, della plastica, delle famose fioriere. Venne impiegato anche nella costruzione di scuole, ospedali, palestre cinema, oltre che in tanti altri settori industriali. Negli anni ’40 e ’50 l’Eternit trovò impiego anche in tanti oggetti di uso quotidiano, comprese le sedie da spiaggia. Proprio per l’estrema rischiosità per la salute umana derivante dall’esposizione a questo materiale, che si è rivelato letale soprattutto per i tanti lavoratori del settore e per i cittadini residenti nelle aree in cui sorgevano i maggiori stabilimenti produttivi, la legge si è espressa molto chiaramente in materia. La prima nazione al mondo a riconoscere la natura cancerogena dell’amianto e a prevedere un riconoscimento per il lavoratori danneggiati fu il Regno Unito nel 1930 a seguito di studi pionieristici effettuati negli Usa dallo scienziato Irving Selikoff, che, primo nel mondo, dimostrò il rapporto diretto fra l’utilizzo di amianto e i tumori. In Italia l’impiego dell’amianto è fuorilegge dal 1992, in base alla legge n. 257/92, che, oltre a stabilire termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti all’estrazione e alla lavorazione dell’amianto (altrimenti detto asbesto), è stata la prima norma ad occuparsi anche dei lavoratori esposti all’amianto. La legge proibisce l’estrazione, l’importazione e la lavorazione dell’amianto. Anche in precedenza si era legiferato in materia introducendo limiti all’impiego in alcune applicazioni e introducendo limiti di contaminazione dell’aria. Ma il pericolo non è ancora finito e molto resta ancora da fare, poiché anche se la legge è in vigore da dieci anni il pericolo non può dirsi superato. Soprattutto nel Nord-Italia, infatti, sia i materiali per l’edilizia sia altri manufatti contenenti amianto sono ancora molto diffusi. Inoltre, visti i lunghi periodi che intercorrono tra l’esposizione e lo sviluppo delle malattie, è probabile che nel prossimo futuro aumenteranno ancora i casi di mesotelioma e delle altre malattie causate dal minerale. È già da tempo infatti che l’Inail ha segnalato che la forma tumorale legata al lavoro a contatto con l’amianto sia proprio il mesotelioma pleurico. Analizzando i 600 casi registrati tra il 1998 e il 1999, inoltre, l’Inail ha calcolato in quale percentuale la neoplasia colpirà i diversi settori del lavoro: in testa c’è la cantieristica navale, seguita dall’industria nel suo complesso e dal settore dei cantieri ferroviari. E, benché la normativa ne abbia fermato la produzione e l’impiego, si calcola che i casi di mesotelioma aumenteranno ancora per almeno dieci anni e che alla normalità si arriverà solo fra 60 anni, poiché i tempi di latenza fra l’esposizione e lo sviluppo dei tumori possono essere anche di 20 anni ed investire quindi diverse generazioni. Una pesante eredità quindi per un materiale che sembrava poter garantire benessere e prosperità a tanti lavoratori che accolsero con speranza di un futuro migliore l’arrivo della Eternit in Italia, quando nel 1907 nacque il primo stabilimento italiano in Piemonte a Casale Monferrato. L’allarme Eternit non è, tuttavia, un ricordo del passato sia perché non si riesce a fare una valutazione del numero delle vittime, sia perché il rischio è ancora alto per gli operai impegnati nella manutenzione e o nella bonifica. Inoltre, nonostante in Europa l’Eternit sia stato messo al bando negli anni’90 ci sono Paesi dove viene ancora utilizzato, come Russia, Canada, Cina, India e Brasile. In particolare occorre tener presente che l’Oms ha stabilito che 125 milioni di lavoratori sono oggi esposti all’amianto nei vari Paesi. Un numero incalcolabile è quello dei lavoratori esposti negli anni passati e dei cittadini che vivono in prossimità di impianti di produzione: i maggiori produttori di amianto sono oggi la Russia (1 milione di tonnellate nel 2010), la Cina (400.000), il Brasile (270.000), il Kazakistan (214.000) e il Canada (100.000). Le nazioni dove viene maggiormente impiegato sono la Cina (oltre 613.000 tonnellate), l’India (426.000), la Russia (263.000), il Brasile (139.000) e l’Indonesia (111.000). In base agli attuali livelli di esposizione, si stima che in questi ultimi Paesi si potranno verificare 5 morti per tumore polmonare e 2 per asbestosi ogni 1.000 abitanti. Una minaccia pesante che in Italia si è cercato di limitare, anche con un piano di bonifica territoriale per la deamiantizzazione anche dei siti privati, ma che è tutt’ora presente in quanto sono ancora molte le costruzioni ancora da bonificare oltreché siti industriali particolarmente infestati.

In italia ancora 12 tonnellate di amianto: difficile il monitoraggio
Circa 3mila, per l’esattezza 2.966, coperture in cemento-amianto, pari a 1.673.974 metri quadri, sono state rilevate nel Lazio dal primo monitoraggio parziale attraverso un innovativo metodo di telerilevamento aereo con l’utilizzo di un sofisticato sensore. Il progetto, che ha interessato il 4,6% del territorio del Lazio, è stato realizzato dall’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr e coordinato dalla ricercatrice Lorenza Fiumi. Manca, invece, un dato nazionale complessivo sulla presenza di amianto sul territorio italiano: l’unica stima recente al momento disponibile è quella di Assobeton (Associazione nazionale industrie manufatti cementizi), che ha indicato la presenza di 12 milioni di tonnellate di lastre in cementoamianto in tutto il Paese, pari a 1 miliardo e 200 milioni metri quadri di coperture. La mappatura dell’amianto viene effettuata “dal suolo” dalle Asl, ma non sempre dal basso possono essere realizzate mappature complete. Con il telerilevamento aereo, invece, è possibile acquisire tramite il sensore dati molto precisi che poi servono per l’elaborazione delle mappe. Su incarico della Regione, il gruppo del Cnr ha dunque “mappato” un’area del Lazio, a maggiore vocazione industriale, corrispondente al 4,6% del territorio regionale per un’estensione di circa 1.000 km quadrati e comprendente le aree di Civitavecchia, Frosinone, la parte orientale del Grande Raccordo Anulare, Pomezia, Albano, Tiburtina, Anagni, Aprilia e Anzio. Dalla mappatura è emerso in quest’area esistono circa 1,7 milioni di metri quadri di coperture in cemento-amianto, pari a 2.966 coperture, comprendenti soprattutto tettoie di capannoni industriali e magazzini che sono però, molte volte, collegati ad abitazioni private. I dati della mappatura, terminata nel giugno dello scorso anno, sono stati consegnati alla Regione. Ora dovranno essere le Asl a verificare lo stato delle coperture al fine di prendere adeguati provvedimenti. Ma il telerilevamento dell’amianto resta purtroppo, al momento, un’esperienza ancora isolata: il progetto nel Lazio è stato co-finanziato dallo stesso Cnr e l’auspicio è quello di poter estendere tale esperienza anche in altre Regioni, ma il problema resta quello legato ai costi. Attualmente una mappatura delle coperture in amianto è stata realizzata parzialmente solo in Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Tutto da fare ancora per le regioni del Sud. Il problema, dunque, è proprio quello della mancanza di un dato nazionale complessivo. «È necessaria una maggiore sinergia tra le Regioni», ha dichiarato l’esperta del Cnr, «con l’obiettivo di istituire una banca dati nazionale sulla presenza di amianto sul territorio. Solo così si potrà effettuare un monitoraggio complessivo, mentre oggi si continua a lavorare in modo troppo frazionato e senza alcun collegamento».

Ancora 57 aree industriali da bonificare dall’amianto
Sarebbero ancora 57 le maggiori aree da risanare dall’inquinamento provocato dall’amianto ed è pari a 2,2 miliardi di euro l’importo già stanziato dal ministero dell’Ambiente dal 2001 a oggi per effettuare interventi di bonifica, mentre i privati devono provvedere con risorse finanziarie proprie. Su circa 20 Sin (ovvero Siti di interesse nazionale) il ministero ha concluso la sua parte di attività, ma l’azione non è finita. Per legge (dl 152/2006) la competenza è passata a Province e Arpa (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente), ma anche il Ministero della Salute farà la sua parte. Ecco la tipologia delle principali aree ancora da bonificare:

  • Marghera: polo industriale
  • Napoli orientale: ex raffineria Mobil > Gela: petrolchimico Eni
  • Priolo: petrolchimico Eni-ex Esso-Isab-Lukoil
  • Manfredonia: polo chimico
  • Brindisi: petrolchimico e 2 centrali elettriche a carbone
  • Taranto: acciaieria Ilva e raffineria Eni
  • Cengio (Savona): ex Acna (industrie chimiche)
  • Piombino: siderugia
  • Massa e Carrara: siderurgia e amianto
  • Casale Monferrato: amianto
  • Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano: cimitero di rifiuti della camorra
  • Pitelli (La Spezia): discarica rifiuti a ridosso dell’arsenale della marina militare
  • Balangero (Torino): miniera di amianto e discarica di altri tossici nocivi
  • Pieve Vergonte (Val d’Ossola): vecchia chimica
  • Sesto San Giovanni: siderurgia
  • Pioltello Rodano: ex Sisas (acetilene e derivati; discarica cancerogena di circa cinquant’anni fa)
  • Napoli Bagnoli: acciaieria dismessa e stabilimento Eternit.

Balduzzi: “Problema non risolvibile in tempi brevi”
Quello dell’amianto in Italia è un problema importante ma non sarà facile risolverlo in tempi brevi. Lo ha affermato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, durante un’interrogazione in Aula alla Camera dei Deputati, nel corso della quale ha anche ricordato che in Italia ci sono oltre 30mila siti contaminati. Dato che mostra l’importanza del problema ma anche la difficoltà di risolverlo rapidamente. Il ministro ha inoltre sottolineato come l’estensione dei benefici per le vittime sia possibile solo attraverso una revisione legislativa poiché è necessaria una “normativa differente, rispetto alla quale anche il ministero della Salute non può che considerare favorevolmente eventuali iniziative anche di tipo parlamentare”. Il ministro Balduzzi si è impegnato a presentare al più presto al Parlamento una relazione del ministero sul problema dell’ amianto e ha annunciato la promozione della seconda Conferenza nazionale governativa sull’amianto che servirà a “disegnare insieme a tutti gli altri Ministeri interessati le linee di condotta riguardo a questa situazione”. La prima Conferenza nazionale sull’amianto, infatti, si tenne nel lontano 1999.

La storia della Eternit narrata a fumetti
La storia della Eternit a Casale Monferrato, che portò dapprima il benessere e poi la morte agli operai e alle famiglie, a causa della polvere d’amianto respirata nell’azienda e in città, è diventata una libro illustrato a fumetti. Eternit, Dissolvenza in bianco (2012 Ediesse, pag. 192, 18 euro) è stata realizzato da Gea Ferraris, architetto, illustratrice e pittrice, e Assunta Prato, insegnante che combatte anche così la sua battaglia dopo il decesso del marito per mesotelioma. La storia è raccontata attraverso le vicende, pubbliche e private, di vari personaggi, anche di altre realtà italiane legate all’Eternit, ispirati a persone reali che hanno avuto un ruolo significativo nella vicenda con una ricchezza e un impatto emotivo che scrittori estranei alla realtà casalese non potrebbero esprimere. Viene evidenziata la presa di coscienza tra i cittadini dei rischi legati all’inquinamento da amianto, la necessità della bonifica e della ricerca scientifica, l’esigenza di giustizia che si è manifestata nella costituzione di più di tremila parti civili per il processo appena concluso a Torino e che ha visto i vertici della multinazionale condannati a 16 anni di carcere. Integra il racconto un’appendice di documenti che contengono una cronologia dei fatti principali della vicenda, dall’origine dell’azienda svizzerobelga all’attuale fase del processo e della bonifica, e alcuni interventi volti a far riflettere su ciò che resta da fare adesso. Non solo quindi cronaca del passato, ma anche un messaggio di consapevolezza e speranza per le nuove generazioni.

Con “malapolvere” l’eternit diventa teatro di denuncia
La vicenda “Eternit” ha ispirato anche uno spettacolo teatrale, “Malapolvere”, tratto dall’omonimo libro della giornalista Silvana Mossano. La “cattiva polvere” del titolo è ovviamente quella d’amianto con cui la fabbrica di Eternit, sorta a Casale Monferrato nel 1907, è accusata di avere avvelenato, fino alla sua chiusura nel 1986, gli abitanti della cittadina, provocando la morte per mesotelioma di circa 2.000 di loro. Nella sua piéce l’autrice e attrice Laura Curino ha selezionato, dalla ricca ed esaustiva documentazione proposta dal volume della Mossano, alcune storie come quella di Evasio Coppo, operaio alla Eternit morto per tumore ai polmoni, che prima di andare al lavoro proteggeva scarpe e mani con sacchetti di plastica. O quella di Romana Blasotti Pavesi, che a 82 anni è ancora alla guida dell’Associazione familiari vittime amianto. L’attrice lascia che a raccontare i fatti siano i luoghi: dal Castello alla piazza del Cavallo, dai giardini pubblici al mercato, fino alle acque del Po. Quello portato in scena dalla Curino è un toccante tentativo di sottrarre i fatti al polveroso velo dell’indifferenza, ma non l’unico. Del caso Eternit, ancor prima che a teatro, si è parlato sul grande schermo con il film-documentario “Polvere”. Il grande processo dell’amianto di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller, che nel corso dell’edizione 2011 della kermesse internazionale “CinemAmbiente” ha ottenuto due riconoscimenti: il secondo premio della giuria del concorso documentari italiani e la menzione speciale Legambiente.

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