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Retinoblastoma: una nuova tecnica per salvare gli occhi dei bambini
Paola Sarno, N. 5 maggio 2011
Il retinoblastoma è un tumore decisamente raro che colpisce per lo più bambini fino ai due anni di età, con un’incidenza calcolata in Italia di 1 su 15.000 nascite, in linea con quella mondiale di 1 ogni 12.000-16.000 nascite. Per evitare l’asportazione dell’occhio dei piccoli pazienti affetti da questa patologia è stata messa a punto una nuova strategia terapeutica in corso di sperimentazione anche nel nostro Paese, in particolare, presso il Policlinico S. Maria delle Scotte di Siena. Ne abbiamo parlato con gli ideatori della cura, Doris Hadjiastilianou, responsabile del Centro di riferimento nazionale per il retinoblastoma, che ha sede proprio nelll’A.O. universitaria toscana e con Carlo Venturi, direttore della U.O.C. Neuroimmagini e Neurointerventistica.
Dott.ssa Hadjistilianou, come viene diagnosticata questa neoplasia?
Il segno più frequente è il rilievo di un riflesso bianco metallico nella pupilla, in altri casi si evidenzia uno strabismo e spesso i due segni coesistono. La conferma diagnostica si ha comunque con l’esame oftalmoscopico.
Quali sono oggi le possibilità di guarigione?
Il retinoblastoma può presentarsi in stadi diversi di gravità con conseguenti diverse possibilità di guarigione. Se alla diagnosi il tumore è di piccole dimensioni, sotto gli 8mm, si può ottenere il 100% delle guarigioni. Per tumori più voluminosi (8-15 mm) la percentuale di guarigioni scende al 90%. Nei casi invece più avanzati con estesa diffusione retinica e/o vitreale, la guarigione oscilla tra il 25 e 60 % dei casi.
Quali sono le terapie tradizionali per questo tumore?
Nei casi più lievi si attuano da quattro a sei cicli di chemioterapia sistemica per via endovenosa, impiegando una combinazione di due farmaci, carboplatino e etoposide, associati sempre alle cosiddette terapie focali, cioè quelle cure conservative per i piccoli focolai tumorali che includono l’argon laser e i laser a diodi (termoterapia), la crioterapia, nonché l’impiego di piccole placche radioattive episclerali. Nei casi più gravi si arriva a oltre sei cicli di chemioterapia sistemica che possono essere ripetuti dopo alcuni mesi e comunque sempre in associazione alle terapie focali. Di fronte alla mancanza di remissione della malattia non resta che l’asportazione chirurgica del bulbo oculare (enucleazione).
Dr. Venturi cosa invece state proponendo al Policlinico S. Maria alle Scotte?
La chemioterapia sistemica è gravata purtroppo da effetti collaterali pesanti per i piccoli pazienti come nausea, vomito, perdita dei capelli (alopecia), depressione midollare con ridotta efficacia delle risposte immunitarie e conseguente maggiore facilità di contrarre malattie infettive. L’ ipotesi di avere una maggiore efficacia terapeutica, pur utilizzando dosi di gran lunga ridotte di farmaco rispetto a quelle della chemioterapia sistemica e quindi gravate da minori effetti collaterali, è il fondamentale presupposto della tecnica di somministrazione selettiva del chemioterapico direttamente e solo nell’ arteria nutritiva del bulbo oculare (arteria oftalmica). Questa tecnica, messa a punto per la prima volta presso il Memorial Hospital e lo Sloan Kettering di New York da Abramson e Gobin, si effettua mediante il posizionamento di un catetere arterioso dalla arteria femorale fino alla arteria carotide interna in prossimità della diramazione della piccola arteria oftalmica diretta all’occhio malato; si introduce quindi, all’interno del catetere, un sottilissimo microcatetere capace di avanzare ulteriormente nella carotide fino ad posizionarsi delicatamente nella arteria oftalmica, consentendo così la somministrazione selettiva del farmaco nell’occhio malato. Si deve considerare che, per quanto il vantaggio terapeutico così ottenuto sia intuitivo, la procedura tecnica angiografia che viene richiesta per la somministrazione del farmaco è molto sofisticata, certamente non replicabile in molti centri come lo è la somministrazione per via endovenosa, e comunque non deve rappresentare un ulteriore fattore di rischio rilevante. Dopo la pubblicazione dei primi confortanti risultati dello studio americano, consapevoli del ruolo storico di riferimento dell’Oftalmologia senese per il retinoblastoma abbinato alla consolidata esperienza neuroangiografica del nostro Policlinico, abbiamo deciso di far nostra quella esperienza e di contribuirvi avviando anche in Italia, primi in Europa, uno studio sperimentale parallelo.
Quando è iniziata la sperimentazione?
Il nostro studio è iniziato nel giugno del 2008, includendo soltanto casi molto gravi ovvero piccoli pazienti altrimenti destinati all’ enucleazione per stadio avanzato di malattia alla prima diagnosi o per recidiva o remissione parziale del tumore dopo la chemioterapia sistemica e dopo trattamenti focali.
Quanti piccoli pazienti sono stati trattati finora con le nuove strategie terapeutiche?
A tutt’oggi sono stati trattati 42 pazienti mediante somministrazione selettiva un potente farmaco alchilante, il melphalan, che comunque ha dimostrato bassa tossicità per la retina. Gli effetti collaterali sono stati sporadici e di lieve entità, arrossamento periorbitario, gonfiore ed abbassamento della palpebra superiore (ptosi), modesta anemia transitoria. È di notevole rilevanza il dato che non si sono avute complicazioni legate alla tecnica angiografica.
Che percentuale di guarigione si ha con queste nuove tecniche?
Il 63% dei pazienti destinati all’enucleazione ha mostrato, nei controlli da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni, completa remissione oftalmologia di malattia ed ha quindi potuto evitare l’asportazione dell’occhio. Per valutare l’effettiva e definitiva guarigione dalla malattia è necessario un follow up piuttosto lungo.
Quali prospettive si aprono per il futuro?
I risultati preliminari sono molto incoraggianti e, a nostro avviso, da questa iniziale esperienza potrebbero derivare due filoni di sviluppo futuri: la possibilità che anche i bambini meno gravi possano usufruire di questa potente terapia e la possibilità di aumentarne l’efficacia salvando un numero maggiore di occhi con la somministrazione combinata di più farmaci, così come avviene per la chemioterapia sistemica.
Dott.ssa Hadjistilianou, il Centro del Policlinico S. Maria alle Scotte è un punto di riferimento nazionale per la cura del retinoblastoma. Com’è organizzato?
Siena raccoglie i 2/3 dei casi di retinoblastoma in Italia ed alcuni provenienti anche dall’estero, in particolare da tutto il bacino del Mediterraneo e dell’Europa dell’Est, con un numero di 30-35 bimbi all’anno. Ogni settimana si tiene una riunione multidisciplinare per decidere una strategia diagnostico-terapeutica e di follow up per ogni singolo bambino a cui partecipano l’Oncologia Oculare, l’Oncologia Pediatrica, il reparto di U.O.C. Neuroimmagini e Neurointerventistica, la Genetica Medica e l’ Anatomia Patologica.
Che tipi di interventi sono previsti a sostegno dei bambini e delle loro famiglie?
L’ ospedale offre un supporto logistico alle famiglie dei bambini con la possibilità di alloggiarle in una struttura adibita a foresteria e un giorno alla settimana un’insegnante di scuola dell’infanzia intrattiene i piccoli degenti. Supporto psicologico ed economico alle famiglie, inoltre è offerto dall’AIGR (Associazione Italiana Genitori dei bambini con Retinoblastoma), che promuove anche iniziative di informazione sulla malattia e di formazione del personale medico.
Nuove protesi elettroniche per bambini con tumore al femore
Una protesi in titanio, realizzata su misura con dispositivo elettronico miniaturizzato, chiamata Mutars Xpand, è stata impiantata con successo per la prima volta nel Lazio in un bambino di 11 anni affetto da osteosarcoma al femore, ricoverato presso l’Unità di Oncologia pediatrica del Policlinico universitario “Agostino Gemelli”. L’intervento è stato condotto da un’équipe di ortopedici e chirurghi vascolari del Policlinico dell’Università Cattolica guidata da Giulio Maccauro, responsabile dell’Unità operativa di Oncologia Ortopedica del nosocomio romano.
La speciale protesi prevede un meccanismo in parte elettronico e in parte meccanico, che può allungarsi con la crescita, impedendo o, almeno riducendo, il rischio della differente lunghezza degli arti. Si tratta del settimo intervento di questo tipo eseguito in Italia (3 casi a Milano e 1 a Napoli, 1 a Brescia e 1 a Torino). La protesi Xpand è indicata però solo nei casi di bambini in cui sia previsto un forte accrescimento del segmento femorale coinvolto dal cancro. In Italia, l'incidenza dei tumori primitivi dell'osso si attesta intorno a 0,8-1 caso per 100.000 abitanti, quindi si calcola vi siano circa 500 nuovi casi di tumori maligni primitivi dell'osso per anno. Tra questi, la percentuale degli osteosarcomi, che è il tumore osseo primitivo più frequente al di sotto dei 18 anni, è attorno al 20-25
Un’alleanza internazionale contro i tumori dei bambini
I pediatri oncologi italiani hanno siglato un nuovo protocollo internazionale per la leucemia linfoblastica acuta dell’età pediatrica. «Sulla base dell’intesa Italia, Germania, Austria, Svizzera, Repubblica Ceca, Israele, Australia e Nuova Zelanda si alleano per la guarigione dei bambini leucemici con un identico protocollo di terapia», ha spiegato Fulvio Porta, presidente dell’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica (Aieop). «In tal modo verranno applicate le più recenti acquisizioni derivate dalla ricerca condotta sia in Italia sia nella comunità scientifica internazionale». Questa neoplasia rappresenta il 30% di tutti i tumori dei bambini e l’80% delle leucemie. Il picco d’incidenza si registra nei bambini di 4 anni e nelle bambine di 2 anni; quasi i due terzi dei casi riguardano piccoli tra i 2 e 6 anni. «Per difficoltà e complessità della valutazione diagnostica e prognostica, la scelta di protocolli di trattamento uniformi è particolarmente importante. Anche se la malattia è in aumento - ha aggiunto Porta - oltre l’80% dei piccoli raggiunge la guarigione. Il nuovo programma di cura internazionale, che tratterà 1.000 nuovi casi all’anno (350 in Italia) offre nuove speranze ai bambini leucemici di essere curati con la miglior terapia attualmente disponibile».
Solo un adolescente su 10 ha accesso alle cure innovative
Secondo uno studio condotto dall’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (Aieop) e pubblicato sullo European Journal of Cancer, ogni anno in Italia sono circa 1.000 i ragazzi tra i 15 e i 19 anni a cui viene diagnosticata una neoplasia, ma solo il 10% di loro riesce a raggiungere un centro di eccellenza e a ricevere cure innovative. «La ricerca - ha detto il presidente Aieop, Fulvio Porta - ha coinvolto oltre 22.000 pazienti, di cui 1.745 adolescenti. A emergere è il fatto che, mentre l’80% dei bambini sotto i 15 anni con patologie oncologiche viene curato in centri specializzati Aieop, i ragazzi fra i 15 e i 19 anni non ricevono cure da strutture adeguate e hanno quindi minori possibilità di guarire rispetto ai bambini». Le ragioni di questo stato di cose, secondo Andrea Ferrari, oncologo pediatra dell’INT e primo autore dello studio, sono da ricercarsi nella ridotta partecipazione degli adolescenti ai protocolli clinici di oncologia pediatrica e quindi dal limitato accesso alle migliori cure possibili. Non solo: talvolta il medico a cui il paziente si rivolge per la prima volta non lo invia ai centri specializzati, riducendo le effettive possibilità di guarigione. Per far fronte a questa situazione l’Aieop ha istituito una Commissione per produrre un documento che indichi azioni programmatiche a livello istituzionale e locale per superare questo limite e migliorare la collaborazione fra il mondo dell’oncologia medica e di quella pediatrica.
OMS: prevenire i tumori con l'attività fisica
Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) il 21-25 percento dei tumori al seno e di quelli al colon sarebbe evitabile svolgendo una regolare attività fisica. Al riguardo l’Oms ha pubblicato nuove raccomandazioni “sull’attività fisica per la salute”, che consigliano almeno 150 minuti alla settimana di attività aerobica di moderata intensità per le persone con più di 18 anni e 60 minuti alla settimana per i giovanissimi. La sedentarietà sta diventando, infatti, un problema di sanità pubblica in tutto il mondo quando, invece, con un po’ di attività fisica si potrebbe avere un buon impatto sulla riduzione del rischio non solo dei tumori, ma anche delle malattie cardiovascolari e del diabete. Invece, già oggi, secondo le stime dell’organismo internazionale per la salute, la mancanza di movimento sarebbe il quarto fattore di rischio per la mortalità globale al quale è attribuibile il 6 percento di tutti i decessi. Soltanto l’ipertensione (13 percento) e il tabacco (9 percento) inciderebbero di più. E il problema sarebbe destinato ad aumentare con conseguenze che, secondo l’ Oms, potrebbero diventare disastrose. Per una buona prevenzione sono sempre più necessari interventi che correggano i quattro principali fattori di rischio: il tabagismo, la dieta non equilibrata, la sedentarietà e l’uso eccessivo di alcool.
Tumori giovanili: allattare al seno previene gli effetti collaterali tardivi
Allattare i figli può aiutare le donne che hanno avuto un tumore da bambine ad evitare gli effetti collaterali tardivi della malattia. Ad affermarlo uno studio recente del Saint Jude Children's Research Hospital di Memphis (Usa), pubblicato dal Journal of Cancer Survivorship. I tumori infantili e giovanili, infatti, anche nel caso in cui guariscano perfettamente, lasciano latenti problemi di salute, che si manifestano in età più avanzata sotto forma di fragilità ossea, di sindrome metabolica che può portare all'obesità e di rischio di sviluppare nuovi tumori, soprattutto al seno. Secondo la ricerca Usa tutti e tre questi effetti possono essere contrastati dall'allattamento al seno, che favorisce l’accumulo di calcio nelle ossa, riduce l'obesità e diminuisce il rischio neoplasie mammarie. Uno degli effetti collaterali delle terapie antitumorali, però, potrebbe essere la diminuzione dell'ormone della crescita, che rende molto difficile la produzione di latte in gravidanza. Tuttavia, i medici - secondo gli esperti americani - dovrebbero fare tutti gli sforzi possibili per permettere alle donne di allattare proprio in quanto l’allattamento dei figli, insieme ai corretti stili di vita, giocano un ruolo importante nella prevenzione di pesanti strascichi sulla salute delle donne che hanno superato un tumore in giovane età.
Al via progetto UE per migliorare trattamenti nei bimbi malati
I bambini che sopravvivono a un cancro sono spesso vittime di problemi fisici o psicologici associati alla patologia o alle cure seguite durante la crescita. Per migliorare la loro qualità di vita, 16 istituti di ricerca con sede in 11 Paesi europei hanno deciso di unire le proprie forze e avviare uno studio unico nel suo genere nell'Ue. Il progetto, chiamato “Pancaresurfup” (Pancare childhood and adolescent cancer survivor care and follow-up studies), finanziato dalla Ue con 6 milioni di euro, è partito all’Università di Lund (Svezia) con il coordinamento dell'oncologo pediatrico Lars Hjorth e la partecipazione dell’epidemiologa Julie Byrne del Boyne Research Institute, che studierà fianco a fianco con altri 34 specialisti. Cinque anni di ricerca con lo scopo di garantire l'accesso alle cure sperimentali ai quei quasi 20mila bambini e adolescenti fino a 19 anni di età, cui solo quest’anno verrà fatta una diagnosi di cancro e che anche una volta guariti, rimangono a rischio. Infatti le cure antitumorali somministrate durante la fase delle crescita rendono eventuali effetti tardivi più seri di quelli sperimentati dai pazienti adulti. Proprio partendo da questa consapevolezza gli esperti studieranno come variare le terapie in modo tale da limitarne gli effetti negativi e sviluppare linee guida condivise per il trattamento e il follow-up dei tumori infantili.
Obiettivo raddoppio per la banca del cordone “UNICATT”
La Regione Lazio potrà contare su un “cordone di solidarietà” sempre più forte e lungo nella raccolta e conservazione del sangue cordonale e placentale: infatti la Banca del Cordone UNICATT del Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, che ha raccolto oltre 50 unità di sangue nel 2010, punta nel 2011 a raddoppiare questo risultato, sia ampliando gli orari del servizio h24, sia arricchendo la rete dei centri di raccolta su cui operare, mediante il coinvolgimento di punti nascita di altre aziende ospedaliere della Capitale.
Questo obiettivo virtuoso è stato annunciato in occasione della certificazione ISO 9001:2008 della Banca del Cordone Ombelicale UNICATT dell’Università Cattolica, che attualmente utilizza come bacino per le donazioni unicamente il punto nascita del Policlinico Gemelli (con circa 3.400 nati nell’ultimo anno) con l’obiettivo tuttavia di aumentare gli sforzi, come ha spiegato Gina Zini, Responsabile UOC Servizio di Emotrasfusione e Direttore della Banca, per raggiungere in futuro gli standard nazionali. Per rendere operativo questo progetto sono in programma corsi di formazione per le ostetriche afferenti ai nuovi Centri di raccolta.
Indirizzi utili
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA SENESE
Strada delle Scotte, 14 53100 Siena
Centralino: 0577 585111
Prenotazioni/informazioni:
te. 0577 585858-585689
www.ao-siena.toscana.it
Radiologia diagnostica - Dott. Carlo Venturi
tel. 0577 585041
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